Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

sabato 24 dicembre 2011

17/07/2011: Colle del Nivolet (2612 metri alt.) Piemonte - (106 km – 2220 metri di dislivello in bici da corsa)






Il Colle del Nivolet, 
ai primi posti per coefficiente di difficoltà nelle classifiche dei colli ciclabili, era uno dei tanti miei sogni nel cassetto. Con i suoi 2612 metri di quota è, dopo lo Stelvio, l'Agnello ed il Gavia, il quarto valico stradale italiano asfaltato: mette in comunicazione l'Alta Valle di Locana, in Piemonte, con la Valsavarenche, in Valle d'Aosta e si trova all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Avevo scoperto questa salita su una rivista di cicloturismo e mi aveva colpito soprattutto la sua lunghezza: 40 km da Locana. Chissà perché più le salite sono lunghe e più mi attraggono. Così, dopo aver consultato più siti meteo, i quali tutti concordemente escludevano la possibilità di pioggia per questo fine settimana, venerdì sera Marco ed io partiamo subito dopo il lavoro alla volta di Pont Canavese, dove troviamo una bella area sosta per camper, gratuita, sulla riva del torrente, in Via Soana (GPS: N45.421660, E7.600410) - 12 posti - area picnic - camper service - sosta massima: 48 ore) e addirittura fornita di colonnine per l’allaccio alla corrente. Incredibile! L’indomani mattina, di buon’ora, inforchiamo le nostre bici e ci involiamo alla conquista del mitico colle. Non sto più nella pelle! Mi emoziono sempre quando sono in procinto di realizzare un sogno. Era da tanto tempo che desideravo scalare il Nivolet e adesso che sono qui non mi sembra vero. Pont Canavese (476 metri s.l.m.) è un ottimo punto di partenza, perchè mi dà la possibilità di riscaldare bene i muscoli. Infatti, da qui a Locana (613 metri s.l.m) ci separano circa 10 km di falsopiano in leggera salita e sarà soltanto da quella località che cominceremo a vedere le prime pendenze significative. C'è da dire che, in questo primo tratto, il panorama non è un gran che. Da Sparone in avanti, mentre risaliamo il corso del torrente Orco, si susseguono i paesi e le frazioni della valle, particolarmente stretta soprattutto nella parte centrale. A Locana entriamo nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso ed è da questo punto che si fa generalmente iniziare la salita al Nivolet. Poco oltre Rosone, la strada attraversa una galleria non illuminata lunga 370 metri mentre i falsopiani cominciano ad essere intervallati da brevi e facili salite. Dopo circa 14 km da Locana raggiungiamo Noasca (1063 metri s.l.m.). Appena fuori dal paese la strada si snoda lungo quattro ripidi tornanti con pendenze al 14% e, poi, spiana fino all’imbocco di una galleria, ben illuminata ed asfaltata, per la verità, ma rabbrividisco all’idea di respirare per 3,5 km il gas di scarico delle auto. Per di più è tutta in salita, ad una pendenza costante del 10%; molto meglio evitarla. Decidiamo, perciò, di percorrere la vecchia strada per Ceresole Reale, che si inerpica sul fianco sinistro della galleria per 4 km. All'inizio dobbiamo affrontare un breve tratto sterrato; sono pochi metri, ma preferisco scendere dalla bici per evitare qualche foratura. La strada diventa, quindi, nuovamente asfaltata, ma in molti punti il vecchio manto stradale è mancante ed invaso da terra e pietre franate dalla montagna. Man mano che si sale, la pendenza diventa più sensibile e mantenere l'equilibrio qui non è impresa da poco (pare, però, che negli anni successivi sia stata asfaltata, ndr). Ad un tratto, tuttavia, dobbiamo per forza entrare nella galleria, immettendoci con attenzione da sinistra. Dopo circa 100 metri si potrebbe uscire di nuovo sulla vecchia strada, ma, considerate le sue pessime condizioni e visto che il traffico è scarso, decidiamo di percorrere l’ultimo tratto all’interno del tunnel, peraltro umidissimo, dal quale usciamo con grande sollievo. Pedaliamo per alcuni chilometri su una blanda salita fino a Ceresole Reale (23 km da Locana - m. 1612 metri s.l.m.). Lungo la strada ammiriamo antiche dimore ed un ex Grand Hotel di fine '800, ben ristrutturati, testimonianza di un'epoca in cui questo luogo fu un centro di turismo elitario. Affrontiamo, poco dopo, una breve discesa, che ci porta quasi a lambire la sponda destra di un grande lago, oltre il quale, superate le poche case della frazione Villa, entriamo nell'ambiente alpestre vero e proprio.

Un primo tratto quasi in falsopiano ci conduce alla frazioncina di Chiapili, dove il paesaggio diventa veramente incantevole: non per niente il parco in cui ci troviamo si chiama Gran Paradiso! Abbiamo già superato 1000 metri di dislivello e mancano ancora 15 km al colle! Pedaliamo in un vallone di selvaggia bellezza, affrontando una serie infinita di tornanti, con pendenza abbastanza sostenuta, che si attenua soltanto poco prima del Lago Serrù. Superiamo la chiesetta della Madonna della Neve (m 2.275 s.l.m.), ma, dopo un chilometro e mezzo, la pendenza s'inverte e perdiamo circa 100 metri di dislivello. Giungiamo così all’altro bacino artificiale: il Lago Agnel. La strada passa, ora, sopra la piccola diga, poi risale tra immense pietraie. Da qui, inizia l’ultimo tratto di salita. Altri 14 tornanti non particolarmente impegnativi. Senza dubbio il panorama da quassù dev'essere qualcosa di straordinario, ma a noi, oggi, non è dato vederlo; purtroppo mentre affrontiamo gli ultimi tornanti, dal fondo valle avanza, lungo il pendio della montagna, ad una velocità sorprendente, un'enorme massa grigia che tutto fagocita al suo passaggio, noi compresi. Arriviamo al Colle immersi nelle nuvole. L'aria è diventata improvvisamente gelida e piccole gocce di pioggia cominciano a bagnare l'asfalto. Mi riparo alla bell’e meglio dietro un'auto per togliere gli indumenti umidi ed indossare quelli asciutti, che, per fortuna, ho portato con me nello zaino. Non perdiamo nemmeno tempo per mangiare qualcosa; non ce la farei comunque, ho troppo freddo.


E allora giù, a capofitto, per la stessa strada fatta all'andata, in compagnia dei fischi delle marmotte. La discesa è poco impegnativa e molto divertente. Scendendo di quota, il tempo migliora e in un attimo siamo di nuovo al Lago Agnel. Qualche dolore nel superare i 6-700 metri di risalita all’Alpe Agnel e poi ci fiondiamo di nuovo verso Chiapili. Un'altra lieve asperità per ritornare al Lago di Ceresole e, una volta superato il tunnel, che in discesa non pone alcun problema, in un tempo che pare brevissimo, raggiungiamo Locana e Pont Canavese. Non mi era mai successo di percorrere 50 km, quasi ininterrotti, di discese più o meno ardite. Un'esperienza inebriante! E' ancora presto e ne approfittiamo per fare un giretto nel piccolo borgo medievale di Pont. Percorriamo l'Antica Via del Commercio, con i suoi bellissimi portici, e il Palazzo Borgarello, decorato in terracotta e ferro battuto. Davvero un piccolo gioiello! Passiamo ai piedi della torre Ferranda e della torre Tellaria, che dominano il paesaggio dall'alto della roccia su cui poggiano ed infine non posso concludere la splendida giornata senza aver ingurgitato la mia immancabile vasca di gelato. E adesso sì che si ragiona!

mercoledì 7 dicembre 2011

10/07/2011: Anello Passo del Vivione e Croce di Salven (Lombardia) - (km 85 – 1900 metri di dislivello in bici da corsa)

(Borno – Demo – Passo del Vivione – Schilpario – Dezzo – Croce di Salven – Borno)

Quello del Vivione, in Valcamonica, è uno di quei Passi che prima o poi tutti, ciclisti, motociclisti, escursionisti, desiderano scalare. Sarà che la strada sale quasi interamente all’ombra del bosco, sarà per la sua lunghezza,  per i borghi antichi che si attraversano, per le cascate, i ruscelli, la pace che dicono si respiri qui (sic!); insomma, ci sono tante ragioni che lo rendono speciale e lo contraddistinguono dagli altri … e la curiosità è davvero tanta! Ho deciso di fare il giro antiorario, per affrontare la salita al Passo dal versante migliore, che, a detta dei più, è quello camuno. Perciò, partendo da Borno, in Valcamonica, il nostro itinerario inizia subito in picchiata. Un improvviso e simpatico messaggio al cellulare mi strappa un sorriso, che mi rimarrà stampato sul volto come un’ebete lungo i 10 km di discesa fino a Malegno. La strada è tranquilla, esposta al sole; mi sento bene nel fisico e nello spirito. Subito dopo il passaggio a livello svoltiamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume Oglio e prendiamo la statale per Edolo e Ponte di Legno che sale in leggera pendenza per circa 30 km, lungo la Valcamonica, sino al bivio per Forno Allione, da dove inizia la salita vera e propria al Vivione. Questo è il tratto più odioso, noioso e trafficato, però non c’è alternativa, lo dobbiamo subire. La strada è a doppia corsia, ma è piuttosto stretta ed è impossibile ignorare il via vai di auto e soprattutto di moto. Che strazio! Di tanto in tanto scruto l’orizzonte nella speranza di scorgere qualche indicazione stradale e, dopo un tempo che mi pare interminabile, finalmente scorgo il cartello tanto agognato. Con immenso sollievo giro a sinistra, supero di nuovo il passaggio a livello e il ponte sul fiume Oglio, imboccando una stradina che inizialmente sale in mezzo ai prati e la cui larghezza massima è di 2,5 metri.
Il sollievo dura poco. Purtroppo anche qui l’andirivieni di moto è abbastanza sostenuto. Chissà perché credevo di essermi liberata dai motociclisti! Non che ce l'abbia con loro, anzi, se presi singolarmente o a piccoli gruppi, mi sono pure simpatici, ma quando sono troppi fanno davvero un gran bordello e il pericolo di farsi male è reale, soprattutto su questo stretto nastro d'asfalto. Per la verità non sono tutti uguali, ci sono quelli che guidano tranquilli e con prudenza, godendosi pure loro con calma il paesaggio e poi ci sono quelli indiavolati, che credono di correre in pista e fanno ruggire i motori, tagliano le curve e te li trovi di fronte all’improvviso. Più di una volta mi hanno sfiorata, nonostante io strisciassi come una biscia lungo il muro alla mia destra. A parte questo, i 20 km di salita da Forno Allione al Passo sono molto suggestivi e, quando il traffico cessa e il rombo dei motori si allontana, possiamo pedalare nel bosco silenzioso ascoltando il gorgogliare dell'acqua del torrente e delle cascatelle. Per i primi 15 km la strada si snoda con pendenze tra il 6 e l'8%, quindi non particolarmente impegnativi, fino ad un pianoro, dopo il quale la salita diventa costantemente severa e il bosco più rado. Superiamo il ponte su un impetuoso torrente; la pendenza è cattiva, con tratti al 13%, ma mi distraggo guardando una bella cascata. Procediamo in costa con pendenza sempre dura e continua; la strada è tagliata nella roccia, sulla sinistra c'è il burrone e si gode una bella vista retrospettiva sulla Val Paisco. All'improvviso sbuchiamo in una grande sella di prati e boschetti, ma la pendenza non accenna ad attenuarsi e si mantiene bella tosta fino a poche centinaia di metri dal rifugio. L'ambiente qui è selvaggio, con cime aspre e ampi valloni che discendono verso il valico. Sicuramente l’ascesa a questo Passo, compiuta in un giorno feriale, mi avrebbe dato un piacere diverso, ma non sempre si è liberi di scegliere e così, quando scollino, ignoro le decine di moto parcheggiate davanti al rifugio e la confusione creata dai loro cavalieri, fermatisi per il pranzo. E’ giusto mezzogiorno, la fame già da tempo si faceva sentire e lo stomaco adesso reclama. Ci spostiamo in un angolo più tranquillo e sbraniamo i nostri panini seduti sull’erba del prato. Nel frattempo il cielo si è annuvolato. In montagna il tempo è sempre così imprevedibile! Meglio non perdere troppo tempo, perché ci aspetta un’altra salita. Indossiamo il k-way e scendiamo dal versante opposto verso Schilpario. La discesa è lunga e anche qui la strada, almeno inizialmente, è molto stretta, con imponenti precipizi che fanno rabbrividire; se mi distraggo troppo potrei avere il piacere di provare l’ebbrezza del volo; ci sono tratti veramente pericolosi e le protezioni sono pressoché assenti. Scendiamo affrontando numerosi tornanti, attraversando pascoli e boschi, finchè, dopo 12 km, arriviamo a Schilpario. Giunti ad un bivio, anziché proseguire dritto sulla statale per Dezzo, giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume e prendiamo la strada a destra per Pradella e Azzone, una via alternativa e parallela alla statale, ma meno trafficata e più gradevole, la quale, dopo 8,5 km incrocia la Via Mala che da Boario Terme sale a Dezzo. E' proprio qui che, circa 90 anni fa, arrivarono 6 milioni di metri cubi d'acqua fuoriusciti dalla diga del Gleno, crollata poche settimane dopo il suo riempimento. L'acqua arrivò fino al lago d'Iseo, seminando morte e distruzione al suo passaggio. Con questi sinistri ricordi giungiamo all’incrocio, ignoriamo la strada che sale al Passo della Presolana e proseguiamo verso sud per qualche decina di metri. Al bivio successivo giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul torrente e iniziamo la salita alla Croce di Salven, che ho già percorso un paio di volte in solitaria. Sette chilometri non particolarmente impegnativi, belli dal punto di vista paesaggistico e soprattutto tranquilli. Finalmente le orecchie hanno la possibilità di riposare e noi di rilassarci, prima di arrivare al parcheggio della funivia di Borno, dove io e Marco abbiamo abbandonato il camper questa mattina e dove concludiamo il nostro bell’anello di 85 km e 1900 metri di dislivello. Una doccia, un gelato e un giro a piedi nel grazioso centro storico del piccolo borgo  sono la degna conclusione di una giornata tutto sommato appagante, centauri a parte. 

mercoledì 30 novembre 2011

29/06/2011: anello Passo Fedaia - Passo Pordoi - Passo Falzarego (km 90 – 2400 metri di dislivello in bici da corsa) Dolomiti


(Caprile – Passo Fedaia – Canazei - Passo Pordoi – Arabba – Passo Falzarego – Caprile)

 

Lo so, è ridicolo passare una notte in bianco a causa di una salita, ma non posso farci nulla: il Fedaia mi fa paura, così come mi fanno paura il Mortirolo e lo Zoncolan. Però, ne sono anche attratta. Perciò, dopo un’abbondante colazione ipercalorica, si parte alla conquista del Passo: io piena di timore, il mio compagno d’avventura tutto bello rilassato. Vorrei avere la sua tranquillità, ma le voci che circolano sul Fedaia non hanno fatto altro che alimentare il mio terrore. Non sono i 13,7 km e 1.059 metri di dislivello a spaventarmi, ma le pendenze, che raggiungono la punta massima del 18% proprio negli ultimi 6 km, nonchè l'impossibilità di trovare dei punti in cui si possa riprendere fiato e recuperare. D’accordo che spesso e volentieri si fa del falso terrorismo, ma se questa volta non fosse così? Vabbè, alla peggio, posso scendere dalla bici e farla a piedi. C’è sempre una prima volta. La salita arriva quasi subito, dopo l'ampio curvone a sinistra, ma i primi 5-6 km sono facili, a parte un paio di brevi strappi. Superiamo Rocca Pietore e, giunti a Plan, procediamo a sinistra, sulla vecchia strada, fino a Sottoguda, lasciando la statale alla nostra destra. Sono emozionata, tra poco m'infilerò nei Serrai, una gola spettacolare, unica al mondo, caratterizzata da pareti alte fino a 60 metri e poco distanti l’una dall’altra. Una delle ragioni per le quali desideravo tanto salire al Fedaia era appunto quella di passare attraverso questa feritoia della montagna, che avevo visto in TV durante le riprese del Giro d’Italia. Un luogo davvero suggestivo e magico; che meraviglia!

I Serrai di Sottoguda






A malincuore abbandoniamo questo incanto. Già all'interno della gola la salita cominciava a farsi sentire, ma, all'uscita, la pendenza si fa davvero seria. Dopo circa un chilometro e mezzo raggiungiamo la Malga Ciapela, dove la strada dei Serrai si ricongiunge alla statale e da dove partono gli impianti di risalita diretti alla Marmolada.
Da qui dovrebbero iniziare i 6 km assassini. Ormai ci siamo. Infatti la strada incomincia ad inclinarsi paurosamente. Ce la farò, non ce la farò? Un km al 12% per raggiungere la baita Dovich, un paio di Km al 11,2% per arrivare alla Capanna Bill. A rendere impegnativo questo tratto non è soltanto la pendenza, ma anche l’assoluta mancanza di curve: tra la Malga Ciapela e la Capanna Bill c’è un interminabile, odioso rettilineo ed è proprio qui che si tocca la pendenza massima del 18%. Si dice che percorrendo questa strada in discesa, senza toccare i freni, si possano raggiungere i 100 Km orari. Sfortuna vuole che inizi pure a soffiare un forte vento, ovviamente contrario. Ci mancava solo questo! Ma perché proprio oggi? La mia preoccupazione aumenta. Se prima conservavo dentro di me una minuscola speranza di farcela, adesso la situazione comincia a diventare disperata. Il panorama non mi sembra niente di straordinario, ma forse sono talmente sotto sforzo da non riuscire ad apprezzare quelle rare immagini che i miei occhi riescono a catturare qua e là durante le sporadiche volte in cui riesco a staccarli dall’asfalto. Spingo con forza sui pedali, le gambe mi fanno male, ma vado avanti, piano piano. Incredibile, ho ancora il fiato per salutare due ciclisti che mi superano e per fare una battuta stupida.
Dopo la Capanna Bill iniziano i tornanti, ma non cambiano le pendenze, che rimangono elevate anche in questo tratto: fino alla vetta ci sono 2,5 Km di strada caratterizzati da una pendenza media dell'11% e da una punta al 15%. C’è persino un pannello stradale che premurosamente me lo fa notare, come se ce ne fosse bisogno! Improvvisamente riemergo dal mio stato di trance; sento delle voci, intravedo un edificio. Che succede? Dove sono? La strada spiana. Cerco con lo sguardo un'altra via che sale: non posso essere già arrivata!  Sfilo di fianco al cartello e leggo “Passo Fedaia”, ma ancora penso ad un errore. Faccio un giretto d'esplorazione. C’è soltanto una strada che scende dal versante opposto. Inutile negare l’evidenza: che io ci creda o no, sono arrivata al Passo. 



Dài, ci meritiamo un buon caffè; il mio compare anche una fetta di torta, visto che, oltre a non essere allenato, è salito pure con dei rapporti impossibili. Come abbia fatto, io proprio non lo so. Eh, ma è mica finita qui! Indossiamo il k-way e scendiamo dall’altra parte, costeggiando dapprima un laghetto artificiale e, poi, passando ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, maestoso e abbagliante alla luce del sole.

Il ghiacciaio della Marmolada

Spettacolare questa discesa che ci deposita a Canazei. Un veloce pieno di acqua alle borracce e, poi, su di nuovo, verso il Passo Pordoi. Altri 13 km di salita, circa 800 metri di dislivello e 27 tornanti, ma al confronto della precedente sono una passeggiata e posso tranquillamente osservare il paesaggio, che è davvero una favola. 

Gruppo Sella 

Salita al Passo Pordoi

Ovunque una miriade di fiori, un’esplosione di colori e una gioia per gli occhi. C’è un po’ di traffico, ma, d’altra parte, il Pordoi fa parte del Sella Ronda, il classico giro dei quattro Passi che fanno tutti. Infatti, quando scolliniamo, troviamo una gran bolgia di auto, moto e pullman, niente a che vedere con il solitario e tranquillo Passo Fedaia. 



La fame a questo punto morde terribilmente. Ci fermiamo ad un bar per rifocillarci e per dare un’occhiata ad una cartina stradale appesa alla parete. Da qui ci sono due possibilità per scendere a Caprile e ritornare all’albergo, ma ce n’è anche una terza, che contempla una deviazione al Passo Falzarego. Una tentazione per me. Butto lì la mia proposta, aspettandomi quantomeno un accenno di protesta o un tentennamento da parte del mio compagno. Macchè! E' presto, si può fare. Evviva! C'involiamo verso Arabba, cercando di non fare la fine degli insetti sul parabrezza dei pullman che salgono con grande baldanza nel senso inverso. 

Il Sass Pordoi

Non ci sono parole per descrivere la bellezza del paesaggio che si apre davanti ai miei occhi mentre scendo, canticchiando, i 33 tornanti. Nell'anima, un'immensa sensazione di libertà, un'incontenibile voglia di volare.


La piramide dell'Antelao

Al crocevia, prendiamo la via a sinistra per affrontare gli ultimi 10 km di salita e i 600 metri di dislivello del Passo Falzarego. Strada tranquilla e non impegnativa. La luce calda del tardo pomeriggio, la pace che si respira qui, il nostro incedere regolare, le nostre chiacchiere rilassate … Vorrei poter continuare così all’infinito, ma forse ho chiesto troppo al mio paziente compagno, che comincia ad accusare un terribile dolore alla pianta del piede. Mancano ancora parecchi chilometri al Passo e non so se ce la farà a continuare. Ma lui è un uomo duro, di quelli che non mollano mai. Stoicamente va avanti, ignorando le fitte, ma soprattutto senza lamentarsi. Ammiro la sua capacità di sopportare in silenzio. Questi, sì, che sono Uomini! Ed è soprattutto in certe situazioni che si capisce quanto valgono. 




Eccoci finalmente al Passo, ai piedi del Monte Lagazuoi, all’interno del quale è stato scavato, durante la prima guerra mondiale, un lungo e stretto cammino che conduce all'omonimo rifugio, a 2.752 metri di quota. L’ho percorso a piedi un paio di anni fa con l’aiuto di una torcia; veramente adrenalinico!
Una sosta al passo per riposare le stanche membra e, poi, affrontiamo l'ultima discesa della giornata, 19 bellissimi chilometri in mezzo ai boschi e alle pinete fino a Caprile.
In conclusione: in tre giorni abbiamo macinato 261 km e accumulato 6.800 metri di dislivello; abbiamo pedalato ai piedi, ai fianchi e alle sommità di un numero considerevole di vette dolomitiche, soffrendo, gioendo ed emozionandoci dopo ogni conquista. E, se vogliamo mettere in conto anche la camminata da sogno di 21 km alla Forcella del Giau, la splendida passeggiata al Catinaccio Rosengarten, con vista sulle Torri del Vajolet e sul Gruppo Sella, la gita a Cortina con la scenografica visione del Monte Cristallo, possiamo dire di aver fatto quasi l’en plein di queste splendide Dolomiti, uniche al mondo e nostro tesoro inestimabile. Una vacanza memorabile, dove, una volta tanto, tutto, ma proprio tutto, è stato perfetto. A questo punto, non mi resta altro che ringraziare di cuore colui che le ha dato vita.


Panorama dalla Forcella del Giau

Catinaccio Rosengarten e Torri del Vajolet


Gruppo Sella


La piana di Cortina dal Passo Giau













venerdì 25 novembre 2011

27/06/2011: anello Pale di San Martino - Dolomiti (Veneto) - (km 100 – 2600 metri di dislivello in bici da corsa)

(Agordo - Cencenighe – Falcade – Passo Valles – Passo Rolle – Passo Cereda – Forcella Aurine – Agordo)


Un'altra splendida giornata di sole, cielo terso, azzurro, senza un baffo di nuvola ... l'animo ben disposto ad affrontare il giro programmato per oggi, che già sulla carta si preannuncia massacrante. Da Agordo, risaliamo la valle fino a Cencenighe. Dopo 9 km di falsopiano in leggera salita incontriamo, alla nostra sinistra, il bivio per Falcade. Da qui al Passo Valles ci dividono 20 km e 1259 metri di dislivello. Oltrepassato il paese, entriamo in una galleria dalla quale usciamo, dopo un chilometro, rintronati e irritati dal rumore, scoprendo, poi, con rammarico, che esisteva una via alternativa. Tratti di falsopiano si alternano a ripidi strappi fino a Falcade, dove facciamo una breve sosta per fotografare la bella chiesa parrocchiale.


Superato il centro abitato, affrontiamo un lungo tornante che dà l'avvio all'ascesa vera e propria. Altri due tornantoni e raggiungiamo il bivio: lasciamo alla nostra destra la strada che sale al Passo San Pellegrino e svoltiamo a sinistra, verso il Passo Valles. Abbiamo già percorso 13 km di salita, ma, da questo punto, iniziano i dolori: la carreggiata si restringe notevolmente ed i successivi 7 km sono formati da interminabili, logoranti, ripidi segmenti al 10-11%. La pineta non ci offre un centimetro di ombra, il sole, a quest’ora, è a picco e si abbatte inclemente su di noi. I nostri sorrisi si spengono via via che saliamo di quota e il mio compare diventa stranamente taciturno. Chissà cosa sta passando nella sua testa! Procediamo in silenzio, ognuno chiuso nei propri pensieri.


L'arrivo al Passo è un gran sollievo; questa salita mi ha distrutta. Ordiniamo un paio di panini al rifugio e ci accomodiamo fuori in terrazza: ho proprio bisogno di recuperare un po' di energia. Il giro è ancora lungo e non sappiamo cosa ci aspetta. Dopo le foto di rito, rimontiamo in sella e scendiamo dal versante opposto. La strada è stretta e ripida, ma, dopo pochi chilometri, arriviamo ad un bivio: a destra si perviene a Paneveggio e a Predazzo, in Val di Fiemme; noi, invece, giriamo a sinistra per salire al Passo Rolle. 6,5 km davvero dolci ed è una fortuna, perché le gambe risentono ancora della salita appena affrontata e i numerosi, brevi tratti all’ombra concedono un po’ di sollievo. I cartelli a bordo strada segnano lo scorrere dei chilometri e il Passo stavolta arriva abbastanza velocemente.


Ci fermiamo al rifugio per bere qualcosa di fresco. Oggi il caldo è impressionante e la sete non ci dà tregua. Il panorama da quassù, però, è meraviglioso e, al cospetto delle maestose Pale di San Martino, iniziamo una lunga, veloce discesa che ci porterà, dapprima a San Martino di Castrozza (dove non manchiamo di fare un'altra sosta per mangiare un gelato e bere un caffè),  poi, a Primiero, da cui inizia la salita al Passo Cereda, che si rivela un vero massacro per i garretti.


E’ davvero un’inaspettata e poco gradita sorpresa, ma dobbiamo rassegnarci. Se vogliamo ritornare ad Agordo dobbiamo per forza arrampicarci per quassù. Le prime rampe sono delle vere e proprie rasoiate nei muscoli, peraltro raffreddati dalla lunga discesa; poi, innestiamo la ridotta da carro funebre e, passettino dopo passettino, centellinando ogni residua energia, raggiungiamo il Passo. Sorrido all’esclamazione di delusione del mio compagno, il quale, giustamente, osserva che i 1369 metri di quota non valevano tanta sofferenza. 


Quando scolliniamo, le ombre sono ormai allungate, ma ci concediamo un'ultima sosta al rifugio per dissetarci. Non abbiamo fretta, il bello di questa vacanza è che non ci sono orari da rispettare. Chiediamo informazioni circa la via più breve per Agordo. Ci spiegano che abbiamo due alternative: una via diretta e veloce oppure un’altra che sale alla Forcella Aurine per 3-4 km e scende, poi, ad Agordo. Due persone sensate avrebbero scelto la prima soluzione, ma siccome noi abbiamo soltanto una vaga idea di quello che sia il buon senso, optiamo masochisticamente per la seconda soluzione. E allora via in discesa, senza ulteriori indugi, fino a Gosaldo e poi di nuovo su, verso il cielo. La sofferenza, però, dura poco, perché, dopo un primo strappetto, la pendenza si assesta su un comodo 4-5% e lo scollinamento arriva senza troppa fatica. Un tratto in falsopiano e, finalmente, ci lanciamo negli ultimi chilometri di discesa. 


Il sole sta tramontando e tinge di rosa le rocce dolomitiche di fronte a noi, creando un’atmosfera magica e surreale. E’ una visione spettacolare, meritato premio per un giro piuttosto impegnativo di 100 km tondi tondi, 2600 metri di dislivello e 3 Passi. Complimenti e sincera ammirazione per il mio coraggioso o incosciente compagno di viaggio, che ha affrontato questo tour de force senza pensarci due volte e senza mai lamentarsi, pur avendo nelle gambe soltanto 150 km di allenamento. Semplicemente superbo!


martedì 22 novembre 2011

25/06/2011: anello Monte Civetta – Dolomiti (km 71 – 1800 metri dislivello in bici da corsa)


(Pescul - Selva di Cadore – Agordo – Passo Duran – Forcella Staulanza – Pescul)


Da Pescul, io e il mio compagno di avventura, scendiamo verso Santa Fosca e Selva di Cadore. Veloce tappa al supermercato per l’acquisto di viveri e sosta alla fontana per riempire le borracce. Ora non manca proprio nulla, nemmeno la voglia di pedalare. Al bivio, imbocchiamo la strada a sinistra che scende a Caprile. Non conosco assolutamente il percorso, pertanto si va un po’ allo sbaraglio. Mi sono fatta soltanto un’idea approssimativa della distanza e del dislivello. So che affronteremo il Passo Duran a quota 1601 metri e il Passo Staulanza a quota 1773 metri, che la prima salita è lunga 12,5 km con un dislivello di 992 metri e la seconda è lunga 12,6 km con un dislivello di 800 metri. L’importante è non distrarsi per non sbagliare strada e rischiare di andare fuori rotta, aggiungendo dislivello a dislivello, che già quello in preventivo per oggi basta e avanza. La discesa è infinita, ma non sento particolarmente freddo, seppur non indossi la mantellina. Ecco i primi scorci spettacolari che mi mandano in estasi. Che meraviglia! L’animo gioioso invoglia a fischiettare: mi sento spensierata e privilegiata per essere qui, in questo momento, in questa giornata radiosa, in questo luogo di rara bellezza, in compagnia di una persona di una simpatia unica. Cosa posso desiderare di più? Dopo circa 10 km arriviamo a Caprile, dove svoltiamo a sinistra verso Alleghe. Costeggiamo l'omonimo lago e continuiamo a scendere ancora per chilometri e chilometri, mentre una leggera inquietudine si impadronisce di noi. Tutto il dislivello che stiamo perdendo in discesa prima o poi dovremo recuperarlo in salita e, allora, saranno dolori; chissà se avremo ancora voglia di ridere e scherzare. Finalmente, dopo 23 km, ecco il cartello di Agordo e il bivio a sinistra per il Passo Duran. E adesso arriva il bello. Come faccio a concentrarmi se il mio compagno fa di tutto per farmi morire dal ridere? Eh no, questo è un colpo basso! Garantisco che affrontare una salita impegnativa, con pendenze a doppia cifra, piegata in due dalle risate, è un’impresa ardua. Prego il mio compagno di smetterla, cerco di pensare a qualcosa di triste, ma non c’è verso: quel briccone continua, lo fa apposta. Le gambe sono molli, cedono, non riesco a spingere sui pedali.



In qualche modo riesco, comunque, a raggiungere il Passo. C'è un'aria pungente quassù, ma non c’è posto all’interno del rifugio, perciò consumiamo velocemente la nostra merenda seduti su una panca all’esterno e poi ci fiondiamo in discesa, verso Dont. Al bivio svoltiamo a sinistra e iniziamo subito l'ascesa al Passo (o Forcella) Staulanza, una bella strada ampia e panoramica, che sale dolcemente tra il Monte Pelmo, a destra, e il Monte Civetta, a sinistra. 

Monte Pelmo

Monte Civetta
Il cielo, nel frattempo, si è un po’ annuvolato, il sole va e viene, ma la temperatura è gradevolissima, almeno fino al Passo, dove, purtroppo, siamo investiti brutalmente da un vento gelido che rende difficile persino infilarsi il k-way. Non è il caso di stare a trastullarci in questo posto. Due scatti veloci per immortalarci anche qui e, quindi, ci fiondiamo di nuovo giù, verso la Val Fiorentina, avendo di fronte a noi una scenografica visione di montagne tinte di rosso e di verde, alle quali tentiamo di dare un nome: la Croda Rossa e la Croda Verde, ma non ne siamo molto sicuri. Ma, poi, esiste una Croda Verde nelle Dolomiti?



Chissà perché, a questo punto, sono convinta che manchi ancora una caterva di chilometri per arrivare a destinazione; convinzione smentita dall’oste del bar-ristorante presso cui ci fermiamo per uno sfizioso spuntino a base di formaggio e marmellata di mele, il quale ci informa che mancano soltanto 3 km a Pescul. Ormai è quasi l’ora di cena e, vuoi per l’abilità dell’oste nel tentarci con succulenti manicaretti, vuoi che abbiamo la scusa di recuperare le calorie bruciate, vuoi che l’appetito vien mangiando, vuoi per l’atmosfera goliardica che si è creata, sta di fatto che disertiamo il triste menu dell’albergo a favore di questo decisamente più allettante. E così, dulcis in fundo, concludiamo la splendida giornata con una mega abbuffata: salumi, casoncelli e un sublime manzo all’olio "così tenero che si taglia con un grissino". Ovviamente non poteva mancare un “tiramisu” fatto in casa. E' proprio vero che il ciclismo, se fatto con passione e impegno, offre risultati che gratificano anche i palati degli sportivi più esigenti.








domenica 20 novembre 2011

19/06/2011: S. Antonio Abbandonato – Salmezza – Passo Zambla (km 176 – 3041 metri dislivello in bici da corsa)


TRACCIA GPS

(Grumello del Monte – Brembilla – Sant’Antonio Abbandonato – Zogno – Miragolo – Salmezze – Selvino – Aviatico – Oltre il Colle – Passo Zambla – Ponte Nossa – Gandino – Leffe – Valrossa – Ranzanico – Solto Collina – Sarnico – Grumello del Monte)

Il tratto di strada da Grumello a Sedrina è, secondo me, il più noioso in assoluto e i 32 km che separano i due centri non sono nemmeno pochi, ma, chiacchierando con Antonio, almeno il tempo passa più velocemente. Con il mio passo lento mattutino li copro in circa un’ora e mezza. Da Sedrina ci dirigiamo verso Brembilla e, poco prima del paese, seguiamo le indicazioni per Sant’Antonio Abbandonato. E’ una salita di soli 6 km, ma con un dislivello di 586 metri; una delle più dure che io conosca e ormai di salite posso dire di averne fatte parecchie. Già dai primi tornanti si capisce che non sarà per niente facile e, strada facendo, ci si rende conto che non molla mai, non concede respiro. La pendenza media è dell’8,7%, ma c’è da mettere in conto un tratto di circa 4 km dove la pendenza media è del 12%. E’ preferibile farla all’inizio del giro, quando le gambe sono ancora gagliarde, e va presa con una certa cautela, se non si vuole pregiudicare il resto dell’uscita in bici. A quest’ora è quasi tutta all’ombra, fresca e il panorama è davvero notevole, soprattutto dalla sommità del colle, dove non manchiamo di fare una sosta al bar per goderci una buona tazza di caffè. Scendiamo, quindi, dal versante opposto, verso Zogno e attraversiamo il paese, abbattendo tutti i santi del calendario sull’odioso acciottolato. Alla rotonda procediamo dritto verso Miragolo. Superato il ponte sul Brembo, giriamo a sinistra e poi subito a destra, imboccando la salita che, in circa 11 km abbastanza impegnativi, conduce al piccolo borgo. Anche qui le pendenze sono di tutto rispetto e non c’è molto margine per respirare, ma la strada è tranquilla, sale in mezzo ai boschi e ai prati fioriti, concedendo pure agli occhi, di tanto in tanto, di cogliere panorami più vasti e lontani. Al bivio ignoriamo le indicazioni per Miragolo San Marco e prendiamo la via alla nostra sinistra, leggermente in discesa. Procediamo per un paio di chilometri, fino al bivio per il Santuario della Madonna di Perello, che pure ignoriamo, continuando dritti, in salita, per Salmezza. La strada s’inerpica per circa 4 km al 9-10% ed è resa un po’ disagevole dall’asfalto grosso. Antonio piano piano acquista vantaggio e sparisce dalla mia vista. Come nelle due salite precedenti, oltre a noi, non c’è un’anima viva. Procedo tranquilla, senza affanno, tanto so che Antonio come al solito mi aspetterà alla piccola cappella dalla quale, tra l’altro, si gode un magnifico panorama a 180 gradi sulle Prealpi Orobie. Nel silenzio mi pare di percepire un leggero ansimare alle mie spalle. Sento una presenza che si avvicina, mi affianca, mi supera di poco. Ci guardiamo sorpresi: è un ciclista che indossa il mio stesso abbigliamento, ma non ci conosciamo. E’ l’occasione giusta per rimediare e, tra una chiacchiera e l’altra, scolliniamo. Raggiungiamo Antonio, che invece conosce Hiroshi e con il quale ci intratteniamo ancora qualche minuto a conversare. Poco dopo il nostro collega riparte. Pure noi ci rimettiamo subito in sella e scendiamo verso Selvino. Al bivio, come sempre, sbaglio strada e scendo verso il centro abitato di Salmezza; un pugno di case attraversato da una strada medievale che un tempo collegava la città di Bergamo con l’alta Val Brembana: la Via Mercatorum, un nome antico e affascinante, che racconta di viandanti, di carovane di muli carichi di merci, di osterie, di portici, di borghi sperduti divenuti importanti grazie a questi traffici. Non era una normale mulattiera, ma una strada larga oltre un metro e mezzo, con tanto di muretto di contenimento e canaletti di scolo per le acque piovane. Partiva da Nembro, in Val Seriana, saliva a Salmezza, scendeva a Selvino e, attraverso Aviatico e Dossena, raggiungeva la Val Brembana a Grumo, dopodiché risaliva a Cornello dei Tasso e ad Oneta. Era lunga 70 km e si manteneva per gran parte del percorso ad un’altezza superiore ai 1000 metri s.l.m. Oggi, purtroppo, alcuni tratti di questa strada sono stati asfaltati, ma è possibile percorrerla sia a piedi che in mountain bike, anche a tappe, visto che lungo il percorso non mancano i posti dove passare la notte. Si ha così la possibilità di visitare borghi storici come quello medievale di Camerata Cornello oppure la casa di Arlecchino ad Oneta, tappa finale dell’itinerario.  Chissà, magari un giorno lo farò! Intanto devo ritornare sui miei passi e rimediare alla mia sbadataggine. Salgo una breve rampa, al termine della quale ricomincia la discesa e dove trovo Antonio ad aspettarmi. Qui il mio amico mi saluta. Per lui è giunta l’ora di rientrare e, comunque, a Selvino le nostre strade si sarebbero in ogni caso divise: infatti lui scenderà a destra, verso Nembro, mentre io salirò a sinistra, verso Aviatico e il Passo Zambla. Il chilometro e mezzo di discesa da Salmezza a Selvino è ripidissimo, con una pendenza che arriva al 19-20%. All’incrocio con la provinciale giro a destra e poi a sinistra, seguendo le indicazioni per Aviatico. Mi vien male all’idea di affrontare la rampaccia all’uscita di Selvino: non più di 500 metri, ma durissimi e, a questo punto, le mie gambe sono già abbastanza provate dalle salite precedenti. Mi alzo sui pedali e cerco di non pensare alle stilettate nei garretti; dài, Manu, è corta, resisti, tra poco spiana. Ecco è finita. Mi accascio con sollievo sulla sella e approfitto della leggera discesa per recuperare. Mi piace questa strada panoramica che, sfiorando i fianchi del Monte Cornagera e del Monte Alben, raggiunge Serina in 12 km di saliscendi, dopo aver attraversato i due piccoli borghi di Trafficanti e Cornalba. Arrivo all’incrocio con la strada provinciale che sale da Ambra verso Serina e giro a destra per salire, prima ad Oltre il Colle e, poi, al Passo Zambla, che mette in comunicazione la Val Brembana con la Val Seriana. Questa strada è di solito trafficata e battuta soprattutto dai motociclisti. E’ ampia, a due corsie e, a parte i primi tre o quattro chilometri un po’ impegnativi, i successivi dieci sono pedalabili, intervallati da alcuni tratti pianeggianti. Si attraversano boschi, prati e pinete. Il panorama giustifica tutto questo via vai di auto e moto. Ovviamente non posso pretendere di essere l’unica ad avere il privilegio di godermelo. Ho percorso diverse volte questa strada, ma, non so se per sfortuna o per una caratteristica propria di questi luoghi, ho sempre trovato il cielo coperto e nuvole basse che nascondevano il paesaggio circostante. Oggi, invece, l’aria è limpida e posso ammirare in tutto il suo splendore il Pizzo Arera, che mi occhieggia dall’alto dei suoi 2500 metri di quota. Al Passo Zambla, oltre al Rifugio e ai vari sentieri che si diramano in ogni dove, c’è una bella fontana di acqua fresca, luogo ideale per rifocillarmi e recuperare un po’ di energia prima di lanciarmi nella lunga, veloce discesa che, in 14 km, mi deposita a valle, sulla strada che costeggia il fiume Serio. A sinistra si va a Clusone, a destra a Bergamo. Io giro a destra. Il traffico qui è davvero sostenuto e così decido, lì per lì, di tornare a casa passando per Gandino, Leffe e la Valrossa, anziché proseguire per Cene. Non posso, comunque, evitare di percorrere circa 5 km in mezzo alla baraonda. In questi casi l’istinto di sopravvivenza mi porta ad isolarmi dal resto del mondo. Mi concentro sui pochi metri di asfalto davanti a me, sulla musica, sui miei pensieri e, quando arrivo alla rotonda, l’aggiro, imboccando l’ultima via a sinistra che sale a Casnigo. Da qui alla Valrossa sono costretta a chiedere informazioni ai passanti; sbaglio strada un paio di volte, ma, alla fine, mi ritrovo all’incrocio con la strada che da Cene sale a Bianzano. Ormai non posso più sbagliare. Raggiungo Ranzanico, Endine, Solto Collina e Riva di Solto, costeggio il lago d’Iseo e, voilà, les jeux sont fait! Eccomi nuovamente a Grumello. Sana, salva e superaffamata.  

mercoledì 16 novembre 2011

12/06/2011: Passo Gavia (2621 metri alt.) da Ponte di Legno - Lombardia (km 35 – 1300 metri dislivello in bici da corsa)


Gli inviti improvvisi di Beppe mi gettano sempre nello scompiglio più totale, ma nello stesso tempo mi divertono un mondo. Il marrano l’ha capito e si diverte a vedermi in preda al panico organizzativo. Capita così che mi chiami all’alba, quando magari sono in procinto di uscire in bici, per dirmi: “Dove sei? Passo a prenderti tra mezz’ora ... andiamo a fare il Colle del Melogno ... il Passo San Marco ..., ecc.”. A volte lo dice solo per prendermi in giro, a volte fa sul serio, ma il mio neurone, nel dubbio, entra subito in fermento. Del resto le cose nate così, all’ultimo minuto, senza pensarci troppo, sono quelle che riescono meglio, anche se ciò comporta buttare all’aria i programmi già predisposti per quel giorno. In fondo io sono dell’idea che le occasioni vadano colte al volo e le proposte di Beppe sono sempre allettanti. Per fortuna questa volta l’invito arriva il sabato sera, così ho un po’ più di tempo per i preparativi. Me l’aveva promesso tempo fa che, non appena avessero aperto il Passo Gavia, l’avremmo scalato insieme e non se ne è dimenticato. Mi piacciono le persone concrete e che non parlano a vanvera. Visto che l’idea è sua, lascio a lui ogni decisione. Partenza alle 9 e arrivo a Ponte di Legno alle 11. Due passi nel centro storico, un caffè, ma non in un bar qualsiasi. Beppe sceglie sempre il meglio ed il caffè si beve al bar che si trova proprio alla confluenza dei due torrenti, il Frigidolfo che giunge dal Parco dello Stelvio ed il Narcanello, che proviene dal ghiacciaio Presena, e che, unendosi, danno origine al fiume Oglio. Attendo, seduta su una panchina, che Beppe spedisca via MMS le foto che ha scattato ed i relativi messaggi ad amici e parenti, lasciandomi riscaldare dai raggi del sole. E’ quasi l’una quando Beppe mi sveglia dal mio torpore. Pronti, si parte alla conquista del mostro. Mentre raggiungiamo in macchina il grande parcheggio ai piedi del Gavia, Beppe mi racconta alcuni atroci aneddoti su questa salita da leggenda e mi esorta a non mollare nel caso ci imbattessimo in un tempo da tregenda, elencandomi tutta una serie di tragiche conseguenze. Puntando l’indice verso un angolo della valle, dove il cielo bigio e le nuvole nere e minacciose che nascondono le montagne non presagiscono niente di buono, il caro Beppe mi dice “Ecco, noi dobbiamo andare proprio là”. Se fino a pochi istanti fa mi sentivo tutto sommato tranquilla e pronta ad affrontare la lunga scalata, adesso sono in preda ad un’angoscia schiacciante, che mi inonda di pensieri funesti. Non oso nemmeno accennare ad una eventuale ritirata. Beppe è stato chiaro, è venuto fin qui per me, per il mio battesimo del Gavia, perché lui l’ha già scalato decine di volte. Vabbè ... se s'ha da fare, si fa. Mi cambio in macchina e indosso una salopette lunga, una maglietta a mezze maniche termica e copriscarpe impermeabili, tenendo a pronta disposizione una maglia a maniche lunghe felpata e il k-way in caso di peggioramento del tempo. Nello zainetto metto il ricambio e un giubbetto invernale. Beppe indossa soltanto calzoncini e maglietta, infilando tutto il resto nello zaino. La scelta dell’abbigliamento è importante: implica un profondo, minuzioso ragionamento e la buona riuscita di un lungo giro in bici o una scalata in alta quota a piedi, dipende anche da questo fattore. Alè, si parte! Con il cuore in tumulto, ma ben determinata ad affrontare con coraggio ogni avversità meteorologica, mi avvio verso il mio destino. Neanche un chilometro e Beppe si ricorda di aver dimenticato il suo berrettino; ritorna alla macchina, mentre io continuo a salire lentamente nell’attesa che mi raggiunga. Per ora il sole resiste e accende di luce i fiori, gli alberi, l’acqua del torrente. I primi 5 km fino a Sant’Apollonia sono facili e servono giusto per scaldare i muscoli. All’improvviso vedo una massa scura e indistinta scendere al trotto dalla strada. Un cavallo? Una mucca? Ecco, si avvicina, mi punta. Ma è un toro! Sento il sangue ghiacciarsi nelle vene. L’unico, stupido e assurdo pensiero va al mio zainetto rosso, che in questo momento mi brucia sulla schiena, manco fosse il drappo scarlatto nelle mani di un torero. Mai come in questo momento accolgo con gioia e sollievo il sopraggiungere del buon Beppe, che mi tranquillizza: qui, è normale imbattersi in questi animali, ma non fanno nulla. In effetti il bestione continua indifferente la sua corsa. Nel frattempo il cielo si è repentinamente coperto. In men che non si dica inizia a diluviare e a fare freddo. Indosso velocemente felpa e k-way. Beppe improvvisa uno spogliarello sul ciglio della strada ed è dispiaciuto per la mia attesa. Gli dico di non preoccuparsi: a questo punto che importa perdere qualche minuto sotto la pioggia, dato che mancano ancora 12 lunghi, duri km alla nostra meta? Mi chiedo soltanto come sarà arrivare ai 2600 metri di quota con gambe e mani fradice. Subito dopo Sant’Apollonia la strada si restringe e s’impenna subito al 14-15%. Intorno a noi solo nuvole basse; riesco giusto a scorgere ciò che sta ai lati della strada. Procedo a testa bassa, con rivoli di pioggia che scendono dal casco davanti ai miei occhi. Beppe pedala qualche metro avanti; ogni tanto si gira e mi chiede premuroso se va tutto bene. Per fortuna, poco dopo, la pendenza si riduce e posso prendere il mio passo tranquillo e regolare. Anche la pioggia cessa o quasi. Guardo sul Garmin i chilometri che si susseguono uno dopo l’altro. Tutto sommato sto bene, ma aspetto con un po’ di apprensione gli ultimi due chilometri dopo la galleria: pare siano spietati e l’altitudine aggraverà la situazione. Ricomincia a piovigginare proprio prima del tunnel. Beppe vuol fermare un’autovettura perché ci scorti all’interno del budello, lungo circa un chilometro, privo di illuminazione e con una pendenza intorno al 9-10%. Purtroppo ci siamo dimenticati entrambi di portare i faretti. In questi casi esce la mia natura timida e schiva. La sua proposta non mi entusiasma; sicuramente nessun automobilista si rifiuterebbe di aiutarci, ma a me pesa. Così entriamo, cercando di mantenerci vicino ai piccoli specchietti rifrangenti posti sulla parete alla nostra destra, ma purtroppo un po’ distanti l’uno dall’altro. Mantenere l’equilibrio non è facile, visto che non ci sono nemmeno le strisce bianche sull’asfalto a dare un’indicazione di dove ci si trovi. 

A peggiorare la situazione una leggera curva che impedisce di vedere la fine della galleria. Sottopongo gli occhi ad uno sforzo sovrumano e piano piano mi abituo all’oscurità. Un rumore assordante, ci supera una moto; seguiamo il suo fascio di luce, ma dura poco. Quando si allontana è peggio di prima, perdo quel minimo di percezione visiva che avevo e ripiombiamo nel buio che più buio non si può, vagando nel nulla. Finalmente scorgo in lontananza una piccola luce; la punto come un rapace punta la sua preda, la vedo ingrandirsi man mano che mi avvicino. Ecco, sono fuori, sana e salva, ma per quanto? Dov’è quel muro insormontabile tanto temuto? Prendo a raccolta tutte le mie residue forze, pronta a fronteggiarlo. Ce la farò? L’ansia aumenta mentre procedo e aspetto il momento fatidico, centellinando ogni energia, finchè alzo gli occhi e vedo il rifugio. Sono incredula! Non posso aver sbagliato strada, non ce ne sono altre! Chiedo lumi a Beppe. Sì, i due chilometri “spietati”, che mi hanno tenuto in apprensione per tutto il percorso, li ho appena superati. Che sollievo! Facciamo qualche foto ed entriamo nel rifugio per cambiarci e mangiare un tagliere di formaggio e bresaola.
E’ ormai tardo pomeriggio quando usciamo dal rifugio, ben coperti e pronti per affrontare la lunga discesa. Sorprendentemente il cielo si sta squarciando e si intravede l’azzurro del cielo. A poco a poco anche il sole fa capolino fra le nuvole e il paesaggio circostante cambia completamente aspetto. La luce calda della sera ha un effetto rilassante e mi induce a canticchiare mentre scendo tranquilla. Adesso posso ammirare lo scenario lunare d’alta quota, le montagne innevate, i boschi e i pascoli. Beppe stavolta ha fermato una macchina che ci consente, col suo fascio di luce, di superare la galleria in sicurezza e in pochi secondi. Un grazie di cuore al mio amico, uno dei pochi che mantiene sempre la parola data e che mi è sempre vicino nei momenti difficili della vita.