Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

sabato 25 febbraio 2012

23/10/2011: S. Vigilio e Boario Terme con Marcello & C. (120 km e 997 metri di dislivello in bici da corsa)

(Grumello del Monte – Lovere – San Vigilio – Angolo Terme – Boario Terme – Lovere – Grumello del Monte)

L’invito di Marcello per un giro in bici a San Vigilio con il suo gruppetto è allettante, la compagnia è buona e per loro sarà giornata di scarico, quindi, in teoria, non dovrebbero “tirarmi il collo”. Saranno due anni che non esco in gruppo, ma ci voglio provare, perché, adesso che conosco le strade, alla peggio posso sempre staccarmi e continuare da sola. Non voglio essere di peso a nessuno. Per uscire in gruppo e andare d’accordo bisogna avere più o meno lo stesso passo, perché, se c’è troppa differenza tra i partecipanti, è inevitabile che nascano dei malcontenti. Dopo aver rimuginato qualche istante, decido di accettare, anche perché il giro mi piace e ormai, con l’arrivo del primo freddo, non mi è più possibile fare uscite in bici troppo lunghe. Man mano che si entra nel periodo invernale è normale diminuire i tempi di allenamento … dopo tre o quattro ore di brividi, di piedi e mani congelati, comincio a sognare il tepore di una casa e una tazza di cioccolata bollente. E così ci diamo appuntamento alle 8 di mattina alla rotonda delle bottiglie, così chiamata perché, essendo il paese in cui vivo rinomato per il vino, l’amministrazione comunale ha pensato bene di creare dei rondò a tema e uno di questi è stato realizzato con siepi a forma di bottiglie di vino. A quest’ora del mattino c’è già un gran via vai di ciclisti sulla strada. Che bello! Saluti e sorrisi, l’animo allegro e sereno. Sono soprattutto queste cose che mi piacciono nel ciclismo, quel clima cameratesco che nasce anche tra persone che non si conoscono o che si conoscono solo di vista. Oltre a Marcello c’è anche Nicola, suo padre ed Enzo, che raccoglieremo qualche chilometro più avanti, a Capriolo. La prima sensazione è buona, mi sento bene e non faccio fatica. Merito anche dei miei compagni che, cavallerescamente, tengono un’andatura regolare, non mandandomi subito in affanno come temevo. Realizzo già alla partenza, però, che questa sarà una giornata fatta soprattutto di sensazioni, più che di osservazione del paesaggio come è mio solito, perché i miei occhi sono per la maggior parte occupati a fissare le ruote di chi mi precede, per evitare voli rocamboleschi miei e di chi mi segue. Vabbè, del resto conosco a memoria i luoghi che attraverseremo e quindi mi fa piacere dedicare anche qualche uscita in bici unicamente a socializzare e a chiacchierare, almeno questo riesco a farlo senza provocare disastri. Sul lago i ciclisti cominciano ad essere più numerosi; sento il loro chiacchiericcio alle mie spalle. L’atmosfera è rilassata e godereccia. Nessuno ci supera, non certo perché andiamo come razzi, ma perché questo è il periodo in cui si tirano i remi in barca, le gare sono finite e tutti, o quasi, se la prendono comoda. L’andatura fra i 30 e i 35 km/h, tenuta da Marcello ed Enzo, che si alternano alla testa del gruppo, ormai gonfiatosi a dismisura, si confà anche agli altri, che non sentono la necessità di passare oltre e così questa formazione rimarrà invariata fino al bivio per Ceratello, meta dei colleghi che ci seguono. Da qui in poi restiamo di nuovo soltanto noi quattro. Procediamo dritto verso Rogno ancora per circa 3 km, fino alla diramazione per Castelfranco e San Vigilio. Svoltiamo quindi a sinistra, imboccando la salita che in circa 6,5 km ci innalzerà ai 750 metri di altitudine del piccolo borgo e che già intravediamo alzando gli occhi al cielo. In effetti, pur non trovandosi ad una quota elevata, guardandolo da quaggiù fa una certa impressione, ma in realtà la scalata è meno terribile di quel che sembra, anche se abbastanza impegnativa. Ci avviamo con calma, parlando un po’ di noi, soprattutto Enzo ed io che non ci conosciamo, così la pendenza, per la maggior parte a doppia cifra, si sente di meno. Scolliniamo e con altrettanta tranquillità, sempre conversando, ci rifocilliamo. Superato brillantemente, grazie all’abilità dei miei compagni, un piccolo problema tecnico alla cerniera del mio k-way, ripartiamo alla volta di Angolo Terme, che raggiungiamo dopo un paio di chilometri di saliscendi e 6 km di discesa. L’asfalto è piuttosto sconnesso, ma sarebbe un’utopia aspettarsi un manto di velluto da queste parti. Al bivio giriamo a destra, scendiamo per altri 3 km verso Boario Terme e, infine, svoltiamo di nuovo a destra per ritornare a Lovere, dove, nel frattempo, si stanno radunando decine e decine di motociclisti. Lungo la strada ne incontriamo ancora una marea; arrivano alla spicciolata o a gruppi numerosi, ma a flusso continuo e nel senso di marcia opposto al nostro. Nell’aria risuona soltanto il rombo dei loro motori; un frastuono infernale, amplificato durante il passaggio nelle gallerie, che non concede tregua alle nostre povere orecchie. E così fino a Predore, per una ventina di chilometri che sarebbero potuti anche essere rilassanti, nonostante si viaggiasse intorno ai 35 km/h, e che, invece, ci hanno letteralmente “tirati scemi”. Da Predore a casa il traffico, poi, è inevitabile, soprattutto a mezzogiorno, ma a questo ormai ci siamo abituati. Ringrazio di cuore i miei compagni di viaggio, premurosi e cavalieri, che si sono alternati alla testa del nostro gruppetto, consentendomi di sfruttare, nella loro scia, il taglio dell’aria. Li ho apprezzati in particolare al ritorno, quando, vedendomi in “leggera” difficoltà sulle ultime salitelle, mi hanno aspettato per “offrirmi le loro ruote” e agevolare così la mia risalita. Sono anche questi piccoli gesti che fanno capire quanto sia grande l’animo delle persone. Alla prossima!

giovedì 23 febbraio 2012

16/10/2011: Polaveno o Passo Tre Termini – Val Trompia - Piani di Vaghezza (125 Km – 1800 metri di dislivello in bici da corsa)

(Grumello del Monte – Iseo - Polaveno - Ponte Zanano - Tavernole sul Mella - Marmentino - Piani di Vaghezza - Tavernole sul Mella - Ponte Zanano - San Giovanni - Ome - Monterotondo - Torbiato - Adro - Capriolo - Grumello del Monte)


Non c’è bisogno di guardare il termometro per capire che la temperatura si è abbassata sensibilmente rispetto ai giorni scorsi. Lo posso dedurre tranquillamente anche dagli occhi che lacrimano come fontane non appena metto il naso fuori di casa. Non sono poi tanto convinta che la spedizione in Val Trompia programmata per oggi sia una buona idea, però ormai ho deciso così e perciò mi avvio. Durante il percorso vengo, mio malgrado, fagocitata in un gruppo numeroso di ciclisti che procede invadendo l’intera corsia di marcia. Inevitabili gli strombazzamenti ed i gestacci da parte di autisti e motociclisti. Come dar loro torto? Anch’io disapprovo un simile schieramento, soprattutto su strade battute dal traffico. Mi ricorda il gioco dei birilli, se ne si sfiora uno, si provoca una caduta a catena e, siccome ho cara la pelle, lascio che i birilli mi scorrano sul fianco sinistro, sottraendomi così all’onda trasportatrice. Raggiungo Iseo via Porto di Castelli Calepio, Capriolo e Clusane, costeggiando la sponda bresciana del lago, a quest’ora del mattino completamente all’ombra e freddissima. Se penso che settimana scorsa si moriva dal caldo ... Oggi, invece, la temperatura è siberiana e la salita al Polaveno o Passo Tre Termini arriva come una benedizione. Ho a disposizione circa 8 km e 500 metri di dislivello per scaldarmi. La strada, ampia e a dolci tornanti, è sempre stata molto amata dai motociclisti, ma negli ultimi tempi, per frenare le loro evoluzioni, è stata disseminata di colonnine arancioni per il rilevamento della velocità, che adesso deve essere contenuta nei 70 km/h. Come sempre, vengo superata da mezzo mondo .. mi chiedo se riuscirò mai a salire anch’io così. Un giorno un ciclista mi disse, forse per consolarmi, di pensare a coloro che rimangono indietro, ma io non vedo mai nessuno alle mie spalle. Beh, comunque, i miei colleghi sono sempre carini, perché, nonostante tutto, mi fanno ogni volta i complimenti, chissà perché? Scollino e mi preparo psicologicamente ad affrontare la lunga, gelida discesa a Ponte Zanano. La conosco, so già che è quasi tutta all’ombra e che soffrirò terribilmente. E’ stata una buona idea indossare i guanti invernali, ma i polpacci nudi cominciano a dolere per il freddo. Al semaforo di Ponte Zanano giro a sinistra per la Val Trompia e percorro gli 11 km di falsopiano che mi separano da Tavernole sul Mella. Anche qui la strada è quasi tutta all’ombra; non mollo il k-way, non riesco a scaldarmi. I lobi delle orecchie sono cristallizzati e nei piedi non circola più una goccia di sangue; ho una gran voglia di togliermi le scarpe e massaggiarli per sentire un po’ di calore. Non vedo l’ora di arrivare al bivio per Marmentino. Mai come oggi ho agognato una salita! Eccolo, finalmente! Svolto a destra e inizio subito a salire in modo deciso. 


Ci vuole un po’ di tempo prima che mi decida a togliere il k-way. La strada è sempre all’ombra, ma lo sforzo dell’ascesa comincia a restituirmi un po’ di tepore. E’ una bella salita, tranquilla, di 6 km e 350 metri di dislivello, quindi molto dolce.


La strada sale in mezzo alle montagne, i cui versanti alla mia destra sono ricoperti di boschi, mentre da quelli alla mia sinistra spuntano strane rocce aguzze. 


La pendenza nei primi chilometri è intorno all’8-9%, poi si addolcisce molto. Al paese di Marmentino (875 metri s.l.m.) seguo le indicazioni per Vaghezza e imbocco la via che si stacca alla mia sinistra. La salita ai Piani di Vaghezza è lunga soltanto 4 km, ma con un dislivello di circa 300 metri; in effetti i primi 3 km sono piuttosto impegnativi, con una pendenza costante al 10-11%. 


La strada si snoda all’interno di una fitta pineta ed è pure questa tutta all’ombra, perché sale sul versante della montagna esposto a nord; lo si può dedurre anche dal bel muschio verde che ricopre le pietre del muretto di sostegno sui lati della carreggiata. Il pendio della montagna è ripidissimo. Supero facilmente una frana; per il resto la strada è in buone condizioni, eccetto un tratto un po' dissestato all'inizio e uno alla fine. Percorro l’ultimo chilometro in falsopiano e arrivo ai piani di Vaghezza (1.200 metri s.l.m.). Vedo del fumo in lontananza e sento profumo di costine alla brace. Oddio, chi sono quei pazzi seduti attorno al tavolo di legno? D’accordo, è una bella giornata, il cielo è limpido, ma quassù fischia un’aria gelida da far accapponare la pelle, tant’è che mi fermo giusto il tempo di infilarmi il k-way. Giro la bici e ritorno sulle mie ruote.


Durante la discesa noto che i colori della vegetazione sono già autunnali. Piano piano il sole si alza sopra le cime delle montagne e invade con la sua luce il paesaggio. Così è tutto un altro mondo!


Che bello sentire il suo calore sulla schiena! Scendo lentamente per godermi con calma l’ambiente circostante. Un intenso profumo di funghi mi prende a tradimento. Chissà quanti ce ne sono qui! L’immagine di un fumante piatto di risotto ai porcini mi scatena una terribile acquolina in bocca. Devo scacciare subito il pensiero. A quest’ora ho già le allucinazioni da fame per conto mio, senza bisogno di essere sollecitata da stimoli esterni. 


Arrivo a Tavernole sul Mella e svolto a sinistra verso Gardone e Ponte Zanano. Ripercorrerò ancora un tratto del Polaveno fino al bivio per San Giovanni e, poi, attraverserò la Franciacorta, per ritornare a casa via Ome, Monterotondo, Torbiato, Adro e Capriolo. Ma prima mi fermo ad un bar per una sosta tecnica ed un caffè. La barista rimane esterefatta quando, rispondendo alla sua domanda, le racconto il giro che sto facendo, oltretutto meno lungo di tanti altri. Ed ho ancora il sorriso sulle labbra mentre esco dal locale e rimonto in sella. L’espressione della donna non lasciava adito a dubbi. Mi ha senz’altro presa per pazza! 

mercoledì 22 febbraio 2012

02/10/2011: Dalla Val Brembilla alla Val Taleggio e al Passo della Crocetta con ritorno via Selvino (137 km – 1940 metri di dislivello in bici da corsa – 40 km circa di salita)

(Grumello del Monte – Bergamo – Sedrina – Brembilla - Forcella di Bura – Taleggio - San Giovanni Bianco - San Gallo – Passo Zucca Trinità - Dossena - Passo della Crocetta – Serina – Cornalba – Aviatico – Selvino – Nembro - Grumello del Monte)


Approfitto di queste calde e soleggiate giornate di inizio autunno per fare le ultime scorribande in bici nelle valli bergamasche. Quest’anno l’estate si è protratta oltre il consueto, anche se i venditori di caldarroste lungo la strada mi ricordano che la stagione fredda è ormai alle porte. Una volta superati i soliti noiosi 40 km da Grumello del Monte a Sedrina e lottato contro l'immancabile vento contrario, che soffia da Villa d'Almè in poi, entro nel vivo dell'avventura, imboccando, nei pressi del viadotto (interdetto alle bici), la sottostante strada a sinistra (prima della piccola galleria) che mi introdurrà nella Val Brembilla. Dopo circa 16 km di salita e 570 metri di dislivello, scollinerò, quindi, alla Forcella di Bura. E' una salita lunga, con una pendenza molto dolce, ma anche particolarmente bella e, soprattutto, tranquilla. Sono alcuni anni ormai che la percorro e ho sempre trovato la strada pressoché deserta. I primi 5,5 km fino al centro abitato di Brembilla sono pedalabili (2-3%) e si possono tranquillamente affrontare con il “rapportone”. Superato il paese, la pendenza aumenta, ma di poco (4-7%), tanto che, a volte, mi dimentico persino di far scendere la catena sulla corona più piccola. La vegetazione è ancora rigogliosa, ma i fiori a bordo strada sono già quelli autunnali, dai settembrini, piccole margherite azzurre, ai topinambur, simili a piccoli girasoli. Ampi tornanti, piano piano, mi alzano di quota e passo dall'ombra del fondovalle alla luce calda del sole che sta inondando la sommità delle montagne. Poco prima di Gerosa sorpasso un anziano ciclista e gli faccio i complimenti; nonostante l'età, sta salendo con passo energico. Farei la firma per arrivare a settant'anni con quella forma fisica. Ringalluzzito, il collega ritenta il sorpasso. Sorrido tra me e me: i ciclisti maschi non accettano volentieri di essere superati da una ciclista femmina, nemmeno ad una certa età. Lo lascio fare e continuo con il mio passo tranquillo. Sarebbe una guerra fra poveri. Alla fine, procediamo affiancati per un po' di tempo e, come spesso accade, quando i miei colleghi capiscono che sono innocua e cordiale, quando vedono l'entusiasmo e lo spirito con cui pratico questo sport, restano con piacere a chiacchierare con me. Così, rispolverando vecchi ricordi, procediamo fino alla Forcella di Bura (884 m s.l.m.) e, mentre il mio accompagnatore si ferma per indossare il k-way, io inizio a scendere verso le frazioni di Peghera e Lavina. Dopo circa 7,5 km, superato il ponte sul torrente Enna, entro nella lussureggiante Val Taleggio, quella del celebre formaggio, e incrocio la strada per la Valsassina. Infatti si può giungere in questa verdissima valle da tre diverse vie: da Brembilla, come ho fatto io, dalla Valsassina (nella provincia di Lecco), passando per Culmine San Pietro e, infine, da San Giovanni Bianco, percorrendo la strada che io tra poco mi appresterò a fare in discesa. Prima, però, devo affrontare un ultimo strappetto di circa 2 km per salire ad Olda, dove faccio una sosta per rifocillarmi. Qui, il gagliardo nonnino, che nel frattempo mi ha raggiunta, s'invola verso il fondovalle e, poco dopo, lo seguo a ruota anch'io, ma con calma, perchè questi 12 km di discesa sono spettacolari e voglio dedicare loro tutto il tempo che si meritano. E' sempre un piacere attraversare questa splendida valle e ogni volta provo la stessa meraviglia di fronte a tanta bellezza. Dopo i borghi di Sottochiesa e Taleggio, con le caratteristiche case dai ripidi e spioventi tetti ricoperti di piode, entro nel bosco e affronto una divertente serie di piccoli tornanti. Ed ecco, laggiù, la gola, con la strada che, stretta fra due alte pareti rocciose, segue, per 3 km, il tortuoso anfratto scavato dal millenario scorrere del torrente Enna. Alcuni ponti mi portano ora sulla sponda destra, ora su quella sinistra del corso d'acqua, che scende impetuoso facendosi largo tra enormi e levigati massi bianchi. Pur essendo una giornata molto calda, in questo orrido, dove il sole non riesce a penetrare, l'aria è gelida e le mie mani ghiacciate. La strada esce dalla forra, proseguendo, poi, lineare in mezzo alla valle che, via via, s'allarga, fino al centro abitato di San Giovanni Bianco. Giro a destra e, poco dopo, attraverso il ponte sul Brembo alla mia sinistra, seguendo le indicazioni per Dossena e San Gallo. La strada sale a zig zag sul versante occidentale della montagna, quello che guarda la Val Brembana, tant'è che, continuando a salire, il panorama rimane più o meno invariato, seppur rimpicciolito, con le case di San Giovanni Bianco lungo la sponda del fiume e l'orrido alle sue spalle. Qui prevalgono i prati con le mucche al pascolo; rari sono i boschetti che creano un po' d'ombra sull'asfalto e il sole picchia inclemente sulla mia testa. La scalata al Passo di Zucca Trinità è abbastanza impegnativa (circa 600 metri di dislivello): ad eccezione di un paio di chilometri nei pressi dei borghi di Costa e San Gallo, dove la strada spiana, i restanti otto non concedono tregua, con pendenze costanti tra l'8 e il 9%. Secondo me, il panorama che si gode da questa salita è uno dei più belli della Val Brembana e l'ambiente circostante è davvero gradevole, per non parlare della pace che si respira qui. Scollino e affronto subito una breve discesa fino a Dossena. Oltrepassato il centro abitato, imbocco una rampetta di 200 metri a sinistra e, poi, proseguo a destra per altri 2,5 km facili (5%), raggiungendo, infine, il Passo della Crocetta, a 1070 metri di altitudine, un piccolo valico che mette in comunicazione la val Brembana con la Val Serina. Scendo dal versante opposto e, poco dopo, arrivo all'incrocio con la strada che, a sinistra, in 10 km, porta al Passo Zambla, mentre, a destra, conduce a Zogno, passando per Serina e Bracca, oppure a Selvino, prendendo, come faccio io, subito dopo le ultime case di Serina, la via a sinistra che sale in modo deciso verso Cornalba. Da lì, proseguo, poi, verso Trafficanti e Aviatico per altri 13-14 km di splendidi saliscendi in mezzo al verde. Un intenso profumo di resina mi accompagna per questa strada, che corre lungo il fianco della montagna a circa 1000 metri di quota e il panorama in certi punti è semplicemente grandioso. Dopo altri 400 metri di dislivello, arrivo a Selvino e mi lancio nella bellissima discesa verso Nembro, cui arrivo dopo 12 km e una serie infinita di splendidi tornanti. Non mi è mai successo, ad ottobre, di fare circa 40 km complessivi di discese soltanto con la maglietta a mezze maniche, ma il caldo quest'anno è davvero eccezionale. Una manna dal cielo per noi ciclisti! Quel continuo togliere e mettere il k-way è davvero insopportabile, ma, oggi, questa noia mi è stata risparmiata. Ancora 20 insulsi km e, con un pensiero fisso in testa, raggiungo la mia tana. Per me, il recupero delle energie è una delle cose più interessanti del ciclismo e il momento più importante, atteso e agognato. Con un occhio particolarmente attento all'apporto calorico e ai valori nutrizionali, butto nelle mie fauci, in ordine sparso, tutto ciò che farebbe inorridire qualsiasi serio dietologo sportivo. Ma questo me lo tengo per me ...

giovedì 16 febbraio 2012

25/09/2011: Colli di San Fermo da Tavernola via Bratta (68 km – 1400 metri circa di dislivello in mountain bike)

(Grumello del Monte – Villongo - Tavernola Bergamasca – Vigolo – San Fermo – Villongo – Gandosso – Grumello del Monte)

Finalmente una bella domenica soleggiata! Accetto l’invito di Marco per un giro in mountain bike ai colli di San Fermo, via Bratta. A causa dei suoi impegni, partiamo alle 13,30. Percorriamo la riva bergamasca del lago d’Iseo, dove, al pomeriggio, i surfisti lasciano il posto ai velisti. L'acqua blu cobalto è punteggiata da una miriade di triangolini bianchi che filano veloci sulla superficie increspata, spinti dal vento. Dopo 20 km arriviamo a Tavernola e seguiamo le indicazioni per Vigolo. La strada sale dolcemente fino al paese per circa 6 km e 400 metri di dislivello. Attraversiamo il centro abitato e continuiamo l'ascesa, lasciando alle nostre spalle le ultime case, i giardini fioriti e gli orti. Grosse mele rosse e pere giallo-verdi pendono, invitanti, dai rami di piccoli alberelli. Nell’aria, profumo di mosto e di erba appena tagliata. La strada, adesso, segue trasversalmente il fianco della montagna, inoltrandosi verso l’interno della valle. Il lago non si vede più. Prati, con mucche e cavalli al pascolo, si alternano a boschi di castagni e a pinete. Scendiamo leggermente, passando davanti ad un’azienda agricola. Quanto mi piace quella nonnina col grembiule stretto in vita e il foulard sulla testa! Se ne sta sempre seduta sulla soglia della sua cascina con in mano la solita paletta ammazza mosche. Saluto l’anziana signora con calore e lei mi ricambia con un bel sorriso radioso. Proseguiamo dritto fino al bivio nei pressi della Bratta (12° km) e giriamo a sinistra, imboccando la salita per i Colli di San Fermo. Ecco, da qui si comincia a soffrire un po’, vuoi per la pendenza più accentuata, vuoi per lo sterrato che inizia dopo alcune decine di metri e che, almeno per un tratto, mi crea qualche difficoltà, essendo il fondo completamente invaso da grossa ghiaia e pietre. Provo ad alzare gli occhi per osservare il paesaggio e per poco non faccio un capitombolo. Forse è meglio concentrarsi e lasciar perdere il panorama; non voglio lasciar qui qualche brandello di pelle o rimetterci gli incisivi. Un breve tratto di asfalto e un altro di sterrato, migliore stavolta, e poi di nuovo sterrato e ancora asfalto (negli anni successivi questa stradina è stata quasi completamente asfaltata, ndr). 
E così, rampetta dopo rampetta, percorsi altri 6-7 km e circa 600 metri di dislivello da Bratta, arriviamo al culmine dei Colli di San Fermo, intorno ai 1.285 metri di altitudine, in mezzo a verdi e sconfinati pascoli. Pedaliamo ancora lungo un panoramico falsopiano, viaggiando quasi sulla cresta della montagna e, poi, ci lanciamo in discesa, con acrobatici salti che non ci è possibile evitare a causa della strada, devastata da immensi e profondi crateri (anche qui, in seguito, è stata effettuata una nuova asfaltatura, ndr). Ci dirigiamo verso il villaggio, sbucando, dopo circa 3 km, proprio davanti alla chiesetta. Svoltiamo a sinistra e, percorsi altri 2 km in falsopiano, affrontiamo la lunga discesa di 15 km fino a Villongo, passando per i piccoli borghi di Adrara S. Rocco e Adrara S. Martino. Mi sarebbe piaciuto scendere dal sentiero, ma è tardo pomeriggio e Marco sostiene che la scarsa luce nel bosco ci potrebbe creare qualche problema. Amen, sarà per la prossima volta. Visto che non ho alcuna intenzione di rovinarmi la giornata in mezzo al traffico domenicale, torno a Grumello via Gandosso, preferendo asfissiare per i 2,5 km di dura salita (200 metri di dislivello e due rampe al 17%), piuttosto che per l’aria satura di monossido di carbonio emesso dalle vetture. Ed eccomi, poco dopo, a planare verso casa. La luce calda della sera, il tepore del sole sulla pelle del viso ... che sensazione meravigliosa!

MAPPA:

mercoledì 15 febbraio 2012

17/09/2011: Parzanica – Solto Collina – Valrossa – Monte Altino da Cene (km 103 – 1724 metri di dislivello in bici da corsa)

(Grumello del Monte – Tavernola – Parzanica – Tavernola – Riva di Solto – Solto Collina – Endine Gaiano – Ranzanico – Valrossa – Cene – Monte di Altino – Gaverina Terme – Grumello del Monte)

La giornata si preannuncia ancora molto calda e umida, come quelle delle settimane precedenti. Speriamo che i temporali previsti per domani, oltre a rinfrescare l’aria, riescano anche a deumidificarla. Con questo clima, in bici rendo poco e male. Oggi non ho voglia di andar troppo lontano e, a dir la verità, non avrei neanche tanta voglia di sudare, ma rimanere a casa non cambierebbe di molto la situazione. Si suda anche a stare fermi. Come sempre, cerco di non pensarci e inizio ad uscire, perché, una volta per strada, poi vado. Mi dirigo verso la sponda bergamasca del lago d’Iseo, dove la foschia è così forte che a malapena riesco ad intravedere la riva opposta e la sagoma del Monte Guglielmo. E' presto e c'è poco movimento. Come spesso accade, nei pressi della galleria di Tavernola, il forte vento contrario mi fa piegare in due e avanzo con difficoltà. Peccato che la bici non sia dotata di vela come le tavole dei numerosi surfisti che sfrecciano velocissimi sulla superficie dell’acqua in questo momento. Al bivio per Parzanica giro a sinistra. Questa salita di 7,4 km e 575 metri di dislivello l’ho già descritta diverse volte. Mi limito a ripetere che è abbastanza impegnativa, ma le rampe dure sono sempre seguite da alcuni tratti che permettono di riprendere fiato. A me piace molto, è panoramica e completamente al sole, sia al mattino che al pomeriggio, a parte poche centinaia di metri verso il secondo chilometro, dove la strada gira dietro la montagna. Purtroppo la speculazione edilizia sta arrivando anche qui. Negli ultimi tempi i residence stanno sorgendo come funghi. Mi piange il cuore, ma d’altra parte questa collina è una balconata sul lago ed è già un miracolo che si sia preservata finora. C’è da augurarsi che non la trasformino in un ammasso di cemento; sarebbe un vero scempio. Mentre salgo, osservo i giochi di luce creati dai raggi del sole sulla superficie del lago. I lunghi fasci luminosi disegnano tanti piccoli pois scintillanti sullo sfondo blu scuro dell'acqua. Davvero uno strano effetto. Nel frattempo scollino. Anziché percorrere il classico anello, però, giro la bici e scendo dalla medesima strada da cui sono salita, perché l’asfalto di quella che da Vigolo riporta a Tavernola, soprattutto nella parte finale, è piuttosto malridotto, con buche e crepe, rattoppi dei rattoppi, che mettono a dura prova anche i nervi di una persona calma come me. Mi ritrovo sul lungolago, accanto al cementificio e giro a sinistra. Supero la galleria e mi preparo ad affrontare lo Zu, mio eterno incubo: un falsopiano in leggera salita dove mi sorpassa sempre mezzo mondo. Che onta! Invece .. sorpresa! Caso più unico che raro, il vento a favore mi fa volare; non mi sembra vero! Peccato che questa volta non ci sia nessuno nei paraggi ad ammirare la mia straordinaria performance. Arrivo in un battibaleno a Riva di Solto e, al bivio, giro a sinistra per Solto Collina, una salitella di 3 km e circa 150-200 metri di dislivello. Non ci posso credere! La discesa verso Endine ha un asfalto nuovo di zecca. Non tutta, ma è già qualcosa. Se non altro, il tratto più malconcio è stato sistemato. Ovunque ci sono accampamenti della Protezione civile. Attraverso la statale e mi dirigo a sinistra, e, poco dopo, al bivio, imbocco la strada a destra che sale a Endine Gaiano e poi a Ranzanico. Affronto alcune brevi rampette, attraverso il paesello e, dopo Bianzano, raggiungo la Valrossa. Anche qui, nel tratto in discesa, l'asfalto è appena stato rinnovato e ci sono i volontari della Protezione Civile intenti nel taglio degli alberi del bosco. A Cene, dopo l'edicola, giro a sinistra e salgo al Monte di Altino. Pendenze aspre per tutti i 5 Km, con un finale in crescendo; 450 i metri di dislivello. Scollino al Santuario e procedo dritto; dopo qualche saliscendi sono al Colle Gallo. Altri volontari della Protezione Civile alle prese con gli alberi del bosco. Ma che succede? All’incrocio con la chiesetta della Madonna dei Ciclisti, giro a sinistra e scendo verso Gaverina, per ritrovarmi, quindi, sulla strada provinciale che attraversa la Val Cavallina. Il traffico è sostenuto anche nell’ora di pranzo di una domenica settembrina. Ma io mi chiedo, perché diavolo tutta 'sta bella gente non si ferma almeno un paio d’ore a riempirsi il pancino per ben benino, lasciandomi rientrare a casa tranquilla e con il solo ricordo di una sana pedalata all’aria aperta, anziché dover per forza finire intossicata dai fumi dei gas di scarico?

martedì 14 febbraio 2012

10/09/2011: Selvino – Dossena – Selvino (Lombardia) (122 km – 1910 metri di dislivello in bici da corsa)

(Grumello del Monte – Colle dei Paste – Selvino – San Pellegrino Terme – Dossena – Sedrina - Cornalba – Trafficanti – Aviatico – Selvino – Grumello)


Le giornate cominciano ad accorciarsi ... alle 6,30 è ancora notte. Questa mattina, poi, la luce tarda ad arrivare, complici quei nuvoloni neri e gonfi di pioggia che si intravedono nel cielo man mano che schiarisce. Strano, le previsioni davano bel tempo e temperature ancora piuttosto elevate per oggi. Vabbè, cominciamo ad uscire, poi si vedrà come butta la giornata. Sono piuttosto flessibile e veloce nella scelta o nelle modifiche dei miei itinerari ciclistici, specie se mi trovo nella provincia bergamasca, dove conosco a memoria strade, distanze e tempi di percorrenza dei vari percorsi. Deciderò dove andare strada facendo, in base ai mutamenti del clima. 
Bando alle ciance, si parte. Inizio tranquillo, passo regolare; cerco di capire come girano le gambe oggi. La sensazione non è buona. La settimana appena trascorsa ho esagerato un po’ con le mie attività sportive e adesso ne pago le conseguenze. Dovrò cercare di gestire al meglio le mie scarse risorse. Negli ultimi due mesi di giri lunghi in bici non ne ho fatti. Salite, sì, tante, più o meno impegnative, a volte interminabili, ma chilometri pochi e così ho perso il “fondo”. Sabato scorso avevo faticato abbastanza per fare poco più di 90 km e 1000 metri di dislivello; in più il caldo torrido e la forte umidità mi avevano dato la stangata finale. Dopo alcuni fine settimana a spasso sulle Alpi, eccomi, dunque, nuovamente a girovagare nelle mie amate valli bergamasche. 
L’animo però è sereno, mi sento bene, se non nel fisico, almeno nello spirito, tanto da accettare senza irritazione tutti i semafori rossi in cui m’imbatto e che rispetto anche alle 7 di mattina, quando il traffico è pressocché inesistente. Incredibile, alcune settimane di assenza e il paesaggio circostante cambia radicalmente il suo volto. Nuove costruzioni, nuove infrastrutture, nuove strade ... Il mondo attorno a me muta inesorabilmente di giorno in giorno, a volte migliora, ma molto spesso peggiora. Raggiungo in circa mezz'ora Cenate Sotto e da lì mi avvio verso il Colle dei Paste, che supero velocemente; è un piccolo colletto, un breve passante tra la Val Cavallina e la Val Seriana. Scollino e, al bivio, procedo a destra e poi, in discesa, a sinistra. 
Al crocicchio della Tribulina prendo la seconda strada a destra e scendo a Gavarno, fino all'incrocio, dove svolto a destra. Continuo sempre dritto e, al semaforo, giro a sinistra, superando il vecchio e stretto ponte in pietra sul Serio. Entro nel centro di Nembro e, alla piccola rotonda, imbocco la strada che sale a sinistra alla località turistica di Selvino. E' una salita facile e regolare di circa 11 chilometri, che si può affrontare a manetta e, volendo, anche con il rapportone, oppure con passo costante e regolare, come la sottoscritta, che ama anche guardarsi attorno o scambiare quattro chiacchiere con chi le capita a tiro. 
Certo che, dopo le salite di 20, 30 e anche 40 km delle Alpi, ho la sensazione che questa termini troppo in fretta. Una volta scollinato, al bivio prendo la via a sinistra, che evita il centro caotico e, al successivo incrocio, svolto ancora a sinistra per scendere ad Ambra. La discesa è lunga, all’ombra e gelida. 
Ecco che dalla valle del Serio mi ritrovo, nel giro di poco tempo, a quella del Brembo. Poco prima di raggiungere la statale, mi infilo nella ciclovia alla mia destra che costeggia la sponda del fiume fino a San Pellegrino Terme. E' comodissima, panoramica e rilassante, in quanto permette di sottrarsi al traffico della strada principale, ma ignorata e snobbata dalla maggior parte dei ciclisti, sia perché troppo stretta per quelli che viaggiano in gruppo, sia perchè non consente di raggiungere forti velocità. Meglio così. E’ bene, comunque, prestare parecchia attenzione. La ciclovia, infatti, incrocia spesso altre strade, che sono, sì, secondarie, ma aperte ai veicoli a motore e, quindi, bisogna fermarsi agli stop, altrimenti si fa la fine di quel povero ciclista che, poco tempo fa e proprio qui, ha perso la vita. 
Dopo una manciata di chilometri, un cartello segnaletico alla mia destra mi induce ad abbandonare la ciclovia per seguire la strada che sale a Dossena, piccolo borgo abbarbicato sulla montagna e che già intravedo dopo qualche tornante. Boschi, pascoli, caprette che brucano l’erba su ripidi pendii, l’acqua del ruscello che gorgoglia, piccoli ponti in pietra che lo attraversano, mucche che sonnecchiano al sole ... nessun fastidioso rumore a disturbare questo incanto che mi accompagna per 9,5 km. Raggiungo le prime case del paese, supero il centro e prendo la strada alla mia sinistra. Dopo pochi chilometri di leggera salita, mi involo verso Serina, notando con piacere che il vecchio e butterato manto stradale è stato finalmente rinnovato. Scendere su un nastro d’asfalto liscio come il velluto è una goduria che soltanto noi ciclisti sappiamo apprezzare e mentalmente ringrazio l’amministrazione locale per questo inaspettato regalo. Perdo poco dislivello, perché, appena superata Serina, al bivio svolto a sinistra e riprendo a salire verso Cornalba. Tredici chilometri di saliscendi e sono di nuovo a Selvino. Una volta scesa a Nembro, sento già aria di casa e automaticamente comincio a pregustare, con l’acquolina in bocca, tutte le leccornie che mi concederò come premio per l’ennesima, piacevole fatica.


lunedì 13 febbraio 2012

21/08/2011: Col de Jafferau (2801 metri alt.) in mountain bike da Bardonecchia (Piemonte) (km 25 x 2 -
Dislivello: 1500 metri)


Perchè non sfruttare appieno il fine settimana a Bardonecchia per scalare un altro spettacolare colle? Meno alto e meno inquietante del Sommeiller (anche se 2800 metri di quota non sono uno scherzo), ma senza dubbio altrettanto affascinante. Al Colle di Jafferau si può accedere attraverso diverse vie: mulattiere, sentieri, strade militari che dipartono da differenti località (Rochemolles, passando per la Decauville; Moncellier, attraverso la Galleria dei Saraceni; Bardonecchia, via Gleises e i Bacini; infine Savoulx).

Sempre nell'estate del 2006, agli albori della mia passione ciclistica, con Marco e Corrado ero salita al Jafferau, partendo da Exilles, via Pramand e Moncellier, completamente ignara di quello che mi avrebbe aspettato. A quei tempi non mi curavo di conoscere distanze e dislivelli, andavo così, allo sbaraglio. Adesso mi chiedo come potessi riporre così tanta fiducia in me stessa. Beata incoscienza! Ricordo la calura del fondovalle, il largo sentiero ingombro di sassi e ghiaia, la strada scavata nella roccia, gli strapiombi, la claustrofobica e buia galleria dei Saraceni, realizzata tipo ferro di cavallo e lunga 850 metri, completamente invasa dall'acqua e da noi attraversata in fila indiana, con le pile sul casco, seguendo il cerchio di luce che a malapena illuminava la ruota posteriore di chi ci precedeva. La soddisfazione di aver superato senza figuracce un paio di strappi assassini, seguita dagli sguardi attenti di alcuni escursionisti. Non importa se c'è mancato poco che morissi per asfissia! Gli ultimi chilometri polverosi ed interminabili, con i quad impazziti ed il forte all'orizzonte che sembrava irraggiungibile. La gioia per la conquista e l'incredulità per aver percorso una distanza ed un dislivello così ragguardevoli per me all'epoca.
E adesso ci riproviamo, ma da un altro versante.


Usciamo da Bardonecchia seguendo la stessa via di ieri e le indicazioni per Millaures e Gleises. Passiamo sotto il ponte dell'autostrada, procedendo lungo una bella strada asfaltata che sale tranquilla tra case e giardini. Superiamo Millaures e raggiungiamo, dopo 4 km, le prime abitazioni di Gleises, piccolo borgo ben ristrutturato. Proseguiamo oltre, ignorando il sentiero per il Forte Foens e, dopo pochi chilometri, sulla nostra destra, notiamo un cartello con l'indicazione dei Bacini. Siamo circa a 7 km da Bardonecchia. Lasciamo l'asfalto e imbocchiamo questa strada sterrata che sale bruscamente, per un tratto, con rampe e tornanti in mezzo al bosco, continuando, poi, quasi in piano, fino al Forte Foens (12° km). Pedaliamo, quindi, a mezzacosta sul fianco della montagna. Il lungo traverso ci permette di riposare e di godere con calma il panorama che si estende davanti ai nostri occhi. Non consideriamo la deviazione a destra per Savoulx e giungiamo al bivio per Pramand e Moncellier (17° km). Da qui in avanti la strada che sale al colle è la medesima percorsa nel 2006. Teniamo sempre la sinistra e continuiamo a salire con pendenze abbastanza severe lungo la vecchia strada militare. In basso, le grotte dei saraceni, un tempo covi dei predoni che infestavano la valle di Susa, e, nei pressi, l'imbocco della famigerata galleria, costruita nel primo dopoguerra per evitare la strada esterna, soggetta alla caduta di massi dalla montagna.



Affrontiamo una serie di tornanti e lunghi drittoni fino al col Basset (20° km), dopo il quale procediamo in falsopiano, sul crinale della montagna. E' un déjà vu. Qualche saliscendi ed ecco gli ultimi quattro, tremendi tornanti finali. Come sempre la cima va conquistata con dolore ... e ognuno ha i propri peccati da espiare.  



La pendenza di questo tratto, in verità, è modesta, ma il fondo è stato realizzato, a suo tempo e dai militari, con pietre disposte trasversalmente e sporgenti in maniera terribile. Sobbalzo ad ogni piè sospinto, impreco ed abbatto uno ad uno tutti i santi del calendario. Cerco di mantenermi sul bordo esterno, dove le pietre sporgono meno, ma ogni tanto sono costretta a mettere il piede a terra. Due passi e poi riparto. 


Finalmente raggiungo la cresta, seguo il sentiero a sinistra, affronto le ultime rampette e arrivo proprio sul cucuzzolo della montagna, dopo 25 km e 1500 metri di dislivello. Le rovine del forte non suscitano in me alcuna attrazione. Sono, invece, perdutamente presa dal panorama: immenso e grandioso, si estende in ogni direzione. Come spesso accade, la mia ignoranza non mi permette di distinguere e dare un nome alle vette che mi circondano, ma ciò non significa che io ami meno la montagna.


Anche qui, oggi, come ieri sul Col de Sommeiller, la temperatura è gradevole, nonostante ci si trovi ad una quota prossima ai 3000 metri. A questo punto, i kamikaze potrebbero scendere da un altro versante del Monte Jafferau, attraverso i ripidi prati della pista da sci o seguendo una stradina altrettanto ripida, segnata da profondi solchi e invasa da grosse pietre, fino agli impianti di risalita e all'albergo Jafferau e, poi, da lì, raggiungere Bardonecchia, via Gleises o Rochemolles. Questa stradina noi l'avevamo già percorsa a piedi e non è possibile pensare di farla in bici in salita. Per me è anche pericoloso buttarvisi in discesa; ho visto un Panda che per poco non si catapultava e delle moto in serie difficoltà. Comunque ognuno è libero di fare quello che vuole. Perciò noi scegliamo quella che riteniamo la via più divertente, che è la stessa fatta all'andata. Veloce, panoramica, più sicura e non meno entusiasmante. 


sabato 11 febbraio 2012

20/08/2011: Col de Sommeiller (2993 metri alt.) in mountain bike da Bardonecchia (Piemonte) (km 26 x 2 – 1700 metri di dislivello)




Avevo già affrontato questa salita nell’estate del 2006 con Luca e Marco, ma era stata un’esperienza diversa. All’epoca ero una “principiante”, nel senso che avevo iniziato da poco a pedalare e mi limitavo a salire e scendere dalla collina che si estende alle spalle di casa mia. Quel giorno avevamo percorso insieme i primi 15 chilometri fino al rifugio Scarfiotti e poi i miei due compagni di avventura mi avevano consigliato di attenderli lì, mentre loro avrebbero continuato fino al colle per gli ultimi 11 km più difficoltosi. Pochi minuti dopo la loro partenza, però, già mi ero pentita di aver accondisceso. Con grande incoscienza ero risalita in sella ed ero partita anch’io, incurante dei grossi nuvoloni neri che si stavano raggruppando nel cielo, dicendomi “dove arrivo, arrivo”. Allora mi dovetti fermare un paio di volte per riposare e riprendere fiato. Ancora non ero abituata a quelle altitudini e la mancanza di ossigeno si faceva sentire. A metà percorso fui tentata di tornare indietro: la stanchezza, il freddo, il cielo cupo, ma soprattutto la totale solitudine e la desolazione di quel luogo mi inquietavano non poco. Invece prevalse la mia curiosità e la mia testardaggine. Continuai a pedalare per altri quattro chilometri in quel paesaggio lunare, finchè, un chilometro prima di scollinare, incrociai Marco e Luca che scendevano. Decisi di ritornare con loro, mancando, quindi, per poco, la conquista del colle. 




Ma questa volta i presupposti sono migliori. La giornata è splendida, caldissima ed io ho un po’ di esperienza in più. Vedremo come andrà.
Intanto c’è da dire che la strada che da Bardonecchia porta al Colle di Sommeiller (2993 m) è la seconda strada carrozzabile (ma, ovviamente, non adatta a tutti i veicoli a motore) più alta d’Europa dopo quella del Pico de Veleta (3400 m), nella Sierra Nevada in Spagna. E’ lunga 26 km, di cui i primi 7 asfaltati ed i successivi 19 sterrati, con un dislivello di circa 1700 metri. Fu costruita nel 1961 per permettere agli sciatori di raggiungere il ghiacciaio Sommeiller, che, a quei tempi, era il più esteso delle Alpi Cozie. Vi era un centro di sci estivo con tre impianti di risalita, un rifugio ed una scuola di sci. Poi il ghiacciaio cominciò a ritirarsi e negli anni ’80 gli impianti, la scuola di sci ed il rifugio cessarono la loro attività, iniziando, così, una lenta decadenza degli stessi. Nel 2004 la Regione Piemonte fece rimuovere i ruderi del rifugio e smantellare gli skilift ed i piloni che deturpavano l’ultima lingua di nevaio rimasto al Colle, riportando i luoghi al loro stato originario.
Dal 2007 il Comune di Bardonecchia ha, inoltre, preso la felice iniziativa di chiudere al traffico motorizzato, nei mesi di luglio e agosto, dal venerdì alla domenica, dalle 9.00 alle 17.00, la strada che dal Rifugio Scarfiotti sale al Colle del Sommeiller, restando, così, questo, regno incontrastato di marmotte, camosci, bikers ed escursionisti.
Pur non essendo le pendenze particolarmente accentuate, ciò che rende questa salita impegnativa è la sua lunghezza, le condizioni della strada negli ultimi chilometri e l’altezza da raggiungere. Ma vuoi mettere il fascino di arrivare in mountain bike ad una simile quota? Di certo non capita tutti i giorni di poterlo fare! 
Lasciato il camper in un ampio parcheggio all’ingresso di Bardonecchia, Marco ed io partiamo alla conquista del colle. Siamo a 1300 metri sul livello del mare, eppure fa già molto caldo, anche se non c’è l’afa della nostra pianura. Due giri di pedale e svoltiamo a destra, entriamo nel paese, percorriamo un sottopassaggio e sbuchiamo sulla strada che sale lungo il Vallon de Rochemolles.
Dopo un tratto di falsopiano, la strada si restringe ed entra, ripida e tortuosa, nel bosco. Superata una breve rampa al 15%, continuiamo con pendenze intorno al 7% per circa 6 km fino al piccolo borgo di Rochemolles, costruito ai piedi della montagna e sulla riva di un bel torrente. Ancora poche centinaia di metri e la strada diventa sterrata, ma sempre abbastanza ampia. L’unico problema sono i fuoristrada che, salendo, sollevano nuvole di polvere e ci impediscono di respirare. Le pendenze sono moderate e, comunque, mai superiori al 9-10%: Entriamo in un bellissimo bosco di conifere, aggiriamo il fianco della montagna e superiamo un ponte su una spettacolare cascata. 



Siamo intorno ai 2000 metri di quota. Procediamo in falsopiano su buon fondo fino alla diga di Rochemolles; costeggiamo il lago artificiale, con le sue verdi acque, fino alla testata della valle e poi, uscendo dal bosco, riprendiamo a salire con più decisione, raggiungendo, dopo 9 km da Rochemolles, un’ampia, verde conca ed una biforcazione della strada.




A sinistra si perviene, dopo alcune centinaia di metri, al rifugio Scarfiotti, situato nei pressi di un piccolo laghetto e di un’alta cascata. A destra inizia l’ultimo troncone più impegnativo della salita, ma anche il più esaltante, lungo circa 11 km. La strada si restringe, il fondo peggiora leggermente, ma non troppo, e la pendenza s’inasprisce. 



Saliamo una serie di stretti, ripidi tornantini, ai margini dei quali si sono formati cumuli di sabbia che cerco di evitare per non scivolare. Poco dopo sbuchiamo al Pian dei Morti (2400 m), dove procediamo quasi in piano fino ad una selletta, superata la quale accediamo al Vallon du Fond (2600 m), selvaggio e desolato. E’ a questo punto che le condizioni della strada peggiorano sensibilmente. Gli ultimi tre chilometri sono da infarto. E’ vero che la cima va conquistata con il sudore e la fatica, ma penso di non aver mai tribolato tanto come adesso. Il fondo è invaso da pietre e detriti di ogni forma e dimensione. 



Qui la tecnica serve a poco. Bisogna avere gambe forti per far sì che le ruote non si blocchino tra un sasso e l’altro. Aguzzo la vista per trovare qualche passaggio più agevole, ma non sempre riesco a schivare i sassi. Cerco di superarli con disperata energia, ma un paio di volte perdo l’equilibrio e cado di lato come un salame. Ripartire e riagganciare i pedali su questo fondo pietroso richiede un’abilità che io non possiedo; soltanto la buona sorte mi consente di riuscirci al primo colpo. Riprendo a pedalare, quasi con rabbia, ma non mollo. Manca poco al colle e voglio arrivarci seduta in sella. Percorro gli ultimi, ripidi e accidentati tornanti sotto la Rognosa d'Etiache e, finalmente, raggiungo la mia meta … quota 3000!!! O poco meno. 


Ho la sensazione di essere salita in cielo, la mia felicità è incontenibile. Questo luogo è di una bellezza assoluta. Valeva la pena fare tanta fatica per arrivare sin quassù … e poi scendere, con l'adrenalina che schizza da tutti i pori della pelle. Che senso di libertà!     Emozioni forti, che durano attimi, ma lasciano un segno indelebile.

 

venerdì 3 febbraio 2012

06-07/08/2011: da Touet-sur-Var al Col de Turini (6° e 7° giorno: Provenza in bici e camper - Francia)


(25 km di salita - 1244 metri di dislivello)

Per chi cerca le emozioni forti, i paesaggi selvaggi e l’avventura, per chi ama la pace ed il silenzio dei piccoli borghi antichi, per chi si commuove davanti alla semplice bellezza della natura, l'Alta Provenza e le Alpi Marittime sono quanto di meglio si possa trovare. No, non sono pagata dall’Ente Turismo francese per fare propaganda al loro territorio; il mio entusiasmo è genuino e nasce dall’amore che nutro per quei luoghi naturali rimasti intatti nel corso del tempo o ben conservati e valorizzati dall'uomo. E questa regione ne è ricca. Davvero un peccato che quello odierno sia, per noi, il penultimo giorno di ferie.

Lasciata Touet-sur-Var, seguiamo la D6202 in direzione Nizza. La strada e la ferrovia a scartamento ridotto della linea Nizza-Digne costeggiano il Var per tutta la sua lunghezza, quasi identificandosi con le sue anse e i suoi meandri; attraversano le strette gole del Défilé du Chaudan e si infilano all'interno di numerose gallerie. Percorsi 24 km, arriviamo a Plan du Var e all'incrocio con la strada delle Gorges du Vesubie, affluente del Var, che scende tumultuoso in una valle chiusa da gole profonde, cupe e inquietanti. Imbocchiamo, quindi, la D2565 che s'insinua tra passaggi strettissimi ed alte pareti verticali per circa 20 km, fino a Lantosque, dove la valle si apre e s'illumina di luce e di colori. Ancora un paio di chilometri e, dopo aver deviato sulla D70 alla nostra destra, abbandoniamo il fondovalle, per salire in modo deciso verso La Bollène-Vesubie. La strada è piuttosto stretta, entra nel bosco e s'inerpica tortuosamente per 12 km fino al Col de Turini. Incredibile! Siamo a meno di 50 km da Nizza eppure lo scenario è quello tipico dell'alta montagna, con boschi, pinete e cime che superano i 3.000 metri.


E' ormai sera quando arriviamo al colle e l'idea di passare la notte qui è allettante. Domani mattina, con calma, scenderemo a Sospel. Infatti vorrei scalare in bici il versante occidentale del Col de Turini, che m'incuriosisce parecchio. 
Detto fatto. Il giorno seguente, parcheggiato il camper nel campeggio municipale (pagato 12 euro presso il vicino Ufficio del Turismo) di Sospel, situato accanto all'area di sosta per camper, la quale è chiusa a luglio ed agosto (Aire de Camping-Car, D2566, Sospel - GPS: N 43.87861, E 7.44306 - Tariffa: Euro 5 - dietro un palazzetto dello sport), scarichiamo le bici e partiamo alla conquista dell'ultimo colle. 
Meravigliosi i tornanti, il verde della vegetazione, il torrente che scorre in basso, alla nostra destra, il canto degli uccellini e la pace che si respira qui. Ambiente ideale per costruirvi un santuario in posizione ardita e panoramica, superato il quale raggiungiamo, dopo pochi chilometri, il borgo silenzioso di Moulinet. Salita lunga e dolcissima, con pendenza costante. Altri tornanti ed entriamo in una fitta foresta di abeti. Il tempo si è un po’ guastato e, proprio nel momento in cui scolliniamo, dopo 25 km, inizia a piovigginare, ma sono soltanto quattro gocce d’acqua che non bagnano neppure l’asfalto. 
Comunque, qui non c'è nulla di particolare da fare o da vedere, a parte un bel micione dal pelo fulvo che se la dorme della grossa, acciambellato su un vecchio sidecar, completamente indifferente alla gente che gli gira attorno. 


Ritorniamo a Sospel, facciamo due passi tra i bei vicoletti del villaggio e troviamo una piccola gelateria. La commessa non ha fretta di servirci: è assorta in tutt’altre faccende e, anche quando si avvicina al banco, si perde con lo sguardo oltre le nostre teste e quelle di coloro che stanno in coda dietro di noi. Divertente … e noi ci adattiamo volentieri ai tempi e ai modi della gente del posto. Finalmente gli occhi della dolce fanciulla si posano anche sui nostri visi in trepida attesa e, poco dopo, l'impellente voglia di gelato viene soddisfatta.
Purtroppo per noi, invece, il tempo scorre inesorabile come il fiume verso il mare e la nostra vacanza sta per giungere alla sua conclusione. Caricate le bici sul camper, rinfrescati e ritemprati da una corroborante doccia, salutiamo Sospel e ci avviamo verso casa. Valichiamo il Col du Perus e il Col de Brouis, ci immettiamo sulla E74 nei pressi di Breil sur Roja e, dopo 22 km, siamo ai piedi dell'antico borgo medievale di Saorge. 


Non possiamo esimerci dal fare una sosta per visitare questo piccolo gioiello disposto ad anfiteatro e abbarbicato sopra le gole del fiume Roya. Lasciamo il camper nei pressi della stazione ferroviaria di Fontan e saliamo a piedi fino al villaggio: cercare un parcheggio e fare manovre con il bestione potrebbe rivelarsi un'impresa ardua e complicata. Vale la pena fare una passeggiata di due chilometri e mezzo lungo la strada che sale sulla montagnola, ricoperta dalla profumata e fiorita vegetazione mediterranea. Saorge è un incanto: case del XV° secolo che raggiungono anche i dieci piani, vicoli stretti, lavatoi, ponticelli che collegano le case, una piazza sulla quale prospetta la cattedrale barocca e caratteristici palazzi con portici in pietra, le cui facciate sono dipinte di giallo e rosso alla maniera ligure. Proseguendo oltre il paese, tra ulivi e castagni, giungiamo ad un belvedere naturale dove sorge un antico monastero in posizione panoramica sulla Val Roya. Strano che un posto così suggestivo, in piena estate, non sia invaso dalle solite orde di turisti. Eppure siamo soltanto a 42 chilometri da Menton e dalla Costa Azzurra. Beh, meglio così, almeno siamo riusciti a cogliere con calma tutta la sua bellezza. Ma adesso è giunta l’ora di riprendere la via di casa. Ritorniamo con un po’ di malinconia al camper e ci avviamo verso il Col di Tenda. Qualche minuto di attesa all’ingresso del traforo (gratuito) e, dopo 8 km, siamo in Italia. Si ritorna alla quotidianità e all'afa estiva del paese in cui vivo; so già che rimpiangerò gli splendidi giorni appena trascorsi. E, mentre la strada scorre veloce davanti a me, ripenso a tutte le belle emozioni provate in questa fantastica avventura. Ogni viaggio, breve o lungo che sia, porta in sé qualcosa di nuovo e di speciale, che ci apparterrà per sempre.