Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

giovedì 19 luglio 2012

24/06/2012: ANELLO GAVIA - MORTIROLO-TRIVIGNO (GRAN FONDO GIORDANA) da Aprica (150 km. 3.400 metri di dislivello), con Passo Gavia e Passo della Foppa (Mortirolo) da Mazzo

Sono circa le 7 quando lascio alle mie spalle l'area riservata ai camper. Nessuno nei pressi del furgone dell'OMPG parcheggiato poco distante; i miei compagni se ne sono già andati. Risalgo le poche centinaia di metri che mi separano dalla partenza e vado ad occupare il mio posto in griglia. Questa è la 7^ ed ultima gara del circuito Coppa Lombardia, ma anche la più dura: 150 km e 3400 metri di dislivello, con un Gavia e un Mortirolo da scalare. Salite che fanno paura anche ai ciclisti più esperti, figuriamoci a me. E’ una competizione importante, tant'è che vi partecipano corridori di tutti i Paesi del mondo e un'autentica folla di big ... ciò non fa che aumentare la mia inquietudine.
Alle 7,30, sulle note di We are the Champions e sotto una pioggia di coriandoli, una colonna di ciclisti lunga un chilometro si avvia verso il proprio destino. Non c'è nemmeno il tempo di prendere velocità che si è già tutti col piede a terra. L'andatura controllata lungo i 16 km di discesa fino a Edolo e i diversi restringimenti della carreggiata, causati dai lavori in corso, creano ingorghi e improvvise inchiodate. Scendo con cautela e col proposito di fare una gara tranquilla, consapevole del fatto che questa è, per me, una prova impegnativa; sarebbe già una soddisfazione impagabile portarla a termine … e poi lo speaker ha assicurato che ci aspetteranno tutti, quindi, in teoria, avrei tutto il tempo.
Intanto mi ritengo fortunata di non essere tra quelli fermi a bordo strada, già alle prese con il cambio delle camere d'aria forate.
Il saluto ed il sorriso di Marcello, come sempre, hanno il potere di stemperare un po' la tensione. Quattro chiacchiere e un “in bocca al lupo”, gridato con il cuore anche a Nicola, e poi ognuno scende come si sente. Superato il centro abitato di Edolo e la piccola galleria, ci dirigiamo verso Ponte di Legno, percorrendo il tratto più estremo della Valcamonica. Due tornanti in leggera salita mi consentono di vedere il fiume di ciclisti davanti e dietro di me. La strada continua poi in falsopiano. Decine di colleghi ne approfittano per una pausa tecnica. Beati loro che possono ... Dopo 7 km, al bivio per Monno, quasi tutti girano a sinistra per affrontare il percorso corto e rimaniamo giusto quattro gatti. Mi assalgono nuovamente i dubbi; forse sto facendo qualcosa al di sopra delle mie possibilità. Riuscirò a concludere il giro senza stramazzare? E poi domani mattina all'alba c'è il volo per la Sicilia e subito la prima tappa del giro dell'isola. Ce la farò? Dài Manu, abbi fede in te, scaccia ogni pensiero e pedala. Il segreto è tutto qui: non farsi problemi, niente se e niente ma. Mi unisco all'unico gruppetto nei paraggi, che marcia, a dir la verità, con passo troppo lento anche per me. Li supero con un po' d’imbarazzo e mi ritrovo in testa a tirare. Dura poco, perchè dal gruppetto si stacca un ciclista che evidentemente si è convinto di poter fare di meglio. Lo seguo a ruota e insieme ci allontaniamo. E' gentile, ogni tanto si gira per assicurarsi che io ci sia, mi segnala gli ostacoli … ok, gli vado a genio. Due chiacchiere e i 15 km fino a Ponte di Legno volano. 
Dopo il paese la pendenza aumenta, ma di poco. Un paio di chilometri ed ecco il bivio per il Passo Gavia. Svoltiamo a sinistra. Breve discesa, un tratto in piano e poi ci siamo, inizia la prima scalata. 17 km e 1.363 metri di dislivello. Dico al mio compagno di viaggio bresciano di non badare a me e di salire con il suo passo. Lo vedo esitare, ma, poi, piano piano, si allontana. Io ho deciso di risparmiare le gambe. Innesto la ridotta e mi guardo il panorama, che ormai comincio a riconoscere: è la terza volta in due anni che scalo il Gavia e mi piace da morire. Da qui a S. Apollonia ci sono 5 km al 6-8%. Poi, dopo una rampetta all’11%, la pendenza si addolcisce per un breve tratto. Un altro strappo al 14% e poi continua mantenendosi tra il 6 e l’8%, con punte al 9%. 
Man mano che salgo, il panorama diventa via via sempre più grandioso, la vista allietata da un abbagliante ghiacciaio che mi occhieggia dalla parte opposta a quella in cui mi sto dirigendo. Lo posso ben osservare mentre risalgo la china, affrontando i numerosi tornanti che tagliano trasversalmente il fianco della montagna. Alla mia sinistra gorgoglia il Frigidoldo, proveniente dal Parco dello Stelvio, le cui acque, unendosi, a Ponte di Legno, a quelle del Narcanello, che scende, invece, dal ghiacciaio della Presena, andranno a formare il fiume Oglio. La valle in certi punti si restringe notevolmente. Attraverso boschi, pinete e verdi prati dove mucche e vitelli pascolano tranquilli. Il senso di pace e di serenità che provo in questi luoghi è indescrivibile. Ecco cos’è il benessere per me. Nient’altro mi può appagare tanto quanto trovarmi in questi paradisi naturali. Il tempo passa veloce, così come i chilometri che scorrono sotto le mie ruote. Il paesaggio cambia via via che guadagno un po’ di quota, diventando sempre più lunare e roccioso. La galleria mi coglie di sorpresa, sono già arrivata! All’interno si percepisce la differenza di temperatura. Sono poche centinaia di metri, ma sufficienti per raffreddare i muscoli. Sulla parete sinistra, una fila di lampadine riesce con difficoltà a gettare piccoli fasci di luce sulla corsia di destra. Non vedo il fondo stradale che sto percorrendo, ma almeno posso individuare le linee bianche che delimitano le due corsie, così da non perdere il senso dell’orientamento. Presumo che questa illuminazione sia provvisoria e che, dopo la gara, il tunnel torni di nuovo completamente buio. 
All’uscita dalla galleria la pendenza si accentua leggermente, l’asfalto è un po’ malridotto e così rimane per 2 km, fino allo scollinamento, nei pressi del Rifugio Bonetta, a quota 2.652 metri, come pure nei successivi 2-3 km della discesa sul versante opposto. Del resto questa zona è coperta dalla neve per la maggior parte dell’anno ed è inevitabile che l’asfalto si deteriori. La temperatura è gradevole e il k-way è più che sufficiente per affrontare la lunga discesa verso Bormio. Mentre scendo osservo lo splendido scenario di montagne ricoperte da ghiacciai e percorse da lingue di neve candida. Una visione spettacolare, con cascate e strapiombi. Scendo con prudenza gli infiniti tornanti. Anche qui, in alcuni tratti, le pendenze sono di tutto rispetto. Una decina di chilometri e arrivo al pavé del centro di S. Caterina Valfurva. Altra discesa verso S. Antonio e altro tratto di pavé nell’attraversamento del borgo. Poi di nuovo giù, verso S. Nicolò e finalmente, dopo ulteriori 15 Km, sono a Bormio. E' da poco passato mezzogiorno, non c'è più nessuno a presidiare gli incroci. Seguendo le indicazioni per Tirano, mi ritrovo su una strada trafficata, ma, poco dopo, al bivio, lascio a sinistra la superstrada e imbocco una tranquilla via secondaria che corre lungo l’argine dell’Adda, dirigendomi verso Mazzo, che dista circa 30 km. Mi fermo qualche minuto per rifocillarmi con calma e recuperare le energie in vista di quello che ancora mi aspetta. Marco è qui che mi attende da circa un'ora. Mi è venuto incontro risalendo la Valtellina con la sua mountain bike e mi farà compagnia finchè se la sentirà. Riprendo la mia corsa. Passo nell'agghiacciante, desolato tratto di valle, dove, nel luglio del 1987, dopo un periodo di forti piogge, quaranta milioni di metri cubi di materiale si staccarono dal Pizzo Coppetto, una montagna di oltre 3000 metri di quota, e, precipitando a valle ad una velocità di 400 km/h, travolsero e distrussero completamente gli abitati di Sant'Antonio Morignone e Aquilone. Pedalo per alcune centinaia di metri su buon sterrato, alla fine del quale mi supera un gruppetto di ciclisti. Incredibile, sono gli stessi novatesi con i quali ho condiviso qualche chilometro alla GF Alpi. Mi accodo felice. Con il loro aiuto sarà più facile percorrere i restanti chilometri in leggera discesa fino a Mazzo, visto che, tra l'altro, soffia un fastidioso vento contrario. Attraversiamo Sondalo, con l'imponente sanatorio immerso nel verde, e Grosio, passando ai piedi dello splendido castello medievale, con le sue torri e la sua cinta merlata. 
Ed ecco il bivio a sinistra per il Mortirolo o, meglio, il Passo della Foppa: 12,4 km, 1.310 metri di dislivello e 33 tornanti da incubo. Il mio cuore già batte all’impazzata e non sono ancora partita all'attacco del mostro. Eppure sono felice di essere qui. Sto per scalare una delle salite più dure e famose d’Europa ... non è da tutti. Si sale subito e senza misericordia, passando tra le case di Mazzo, che ben presto lasciano il posto ai boschi e ai prati. Il cartello all’inizio dell’ascesa riporta anche l’altimetria, per la maggior parte colorata di rosso, colore che indica pendenze da ribaltamento. La strada, stretta e tortuosa, subisce un’impennata pazzesca intorno al 31° tornante e si mantiene costantemente su questa inclinazione, senza mai mollare, fino al 21°. Mi alzo sui pedali, lo sguardo fisso sull’asfalto davanti a me. Non riesco a guardare il Garmin, ma la pendenza del 18% la sento tutta nelle gambe e nei polmoni. Ci mancava soltanto il vento contrario! Mi rassegno alla tribolazione, ma, in fondo, sono qui per soffrire e ciò che non uccide fortifica, almeno così pare. 
Dopo il 21° tornante, il tratto cruciale è passato, ma le pendenze rimangono elevate, non c’è modo per poter respirare. Devo soltanto resistere, resistere e ancora resistere. 
Sorpasso incredula molti di coloro che mi avevano superato sul Gavia, alcuni dei quali già coi piedi a terra e, con altrettanto sgomento, osservo dei corridori che stanno scendendo in senso contrario e non sono pochi. Che sarà loro successo? Peccato non potermi guardare intorno, non vedere il paesaggio che mi circonda, non riempirmi gli occhi di scenari da ricordare. Sono troppo concentrata nel mantenere respiro e ritmo di pedalata regolari.
Una sferzata di energia me la dà il collega bresciano, che reincontro con sorpresa al ristoro del 6° km. “Sei in gamba”, mi dice con un sorriso. Cavoli, ma allora non sono andata poi così male! 
Mi accorgo in questo momento dell'assenza di Marco. Mi aveva annunciato una sosta tecnica ... mannaggia l'ho perso! Continuo a salire in compagnia del bresciano. La pendenza è sempre a doppia cifra, ma ormai il peggio è passato. All'ottavo chilometro il monumento dedicato a Pantani, che, su questa salita, nel 1994, da perfetto sconosciuto, staccò tutti e vinse la tappa Merano-Aprica, entrando di prepotenza nella storia dei migliori scalatori, mi regala una buona dose di adrenalina. Ignoriamo il bivio per Grosio a sinistra e procediamo verso destra. Dopo un chilometro e mezzo al 9%, la pendenza torna a ruggire, con alcuni strappi all’11-12%. La coltellata finale arriva poco prima di scollinare, con cento metri al 15%.
Ed ecco il cartello che indica l'arrivo al Passo. L'entusiasmo è alle stelle. Inutile indossare il k-way adesso come fanno gli altri, sto bene così e poi tra poco inizia un tratto di mangia e bevi che mi farà sudare nuovamente. Una breve discesa e poi la biforcazione: a sinistra si scende a Monno, mentre a destra si ritorna all'Aprica. Il ciclista bresciano si ferma al ristoro, io continuo da sola. Mancano circa 30 km all'arrivo. Affronto una breve salita e poi un falsopiano di circa una dozzina di chilometri, intervallato da un paio di strappetti.
E finalmente ecco la discesa vera e propria. Mi concentro e aguzzo la vista, soprattutto attraversando il bosco: i giochi di luce ed ombra non permettono di individuare con chiarezza le buche e le crepe dell’asfalto. Non vorrei compromettere tutto con una caduta proprio adesso. Mi raggiungono altri ciclisti. La consapevolezza di avercela quasi fatta ci rende tutti euforici, tanto che scoppiamo in un'allegra risata quando, dopo aver annunciato a gran voce il nostro arrivo ad un gruppo di persone ferme in mezzo alla strada, una madama, forse spaventata, inveisce contro di noi gridando: “Perché non suonate il campanello?”. E così, dopo un tempo interminabile, mi ritrovo al bivio di fondovalle. Ancora uno sforzo, un’ultima, breve contropendenza ed ecco il tappetino, il bip che risuona nell'aria come una dolce armonia, i flash dei fotografi, i loro sorrisi e i loro complimenti, addirittura il mio nome scandito dallo speaker … E' un momento di grande emozione e soddisfazione. La sensazione di aver fatto qualcosa di grande è bellissima. Lo so, non c'è niente di grande nell'arrivare 934^ su 1016, ma io sono felice lo stesso. Il mio ultimo pensiero vola a lui, al grande campione "che sapeva animare gli animi della folla come nessun altro ha più saputo fare".